di Rosario Ales
Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi
Bertold Brecht
Bertold Brecht
Il 5 luglio del 1999 Filippo Basile, appena uscito
dall’ufficio, si dirige verso la sua auto, parcheggiata nei pressi
dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana, mette le mani
al volante, la ruota è tagliata, viene freddato da tre colpi di pistola e poi
il silenzio dell’horror vacui della
morte, nel rispetto di una consolidata consuetudine sicula: nessuno ha visto e
sentito niente.
La giustizia dei Tribunali accerterà e condannerà il funzionario
regionale Sprio Nino Velio nella qualità di mandante dell’omicidio con il
movente della vendetta nei confronti di Filippo Basile per avere istruito il
procedimento di licenziamento che lo riguardava e l’esecutore materiale Giliberti Ignazio,
assoldato dallo stesso Sprio e poi, passato dopo l’arresto nei ranghi di collaboratore
di giustizia.
Come da un romanzo di Camilleri dalle dichiarazioni rese da Giliberti,
quando a Sprio fu comunicato l’esito dell’operazione delittuosa, commentò in
dialetto siciliano:“E pure stu curnutazzo
si levò d’in mezzo i piedi, minchia quanto mi fici cummattere”.
Questa la cronaca dei fatti, che non potrà restituire Filippo alla
moglie, al figlio che allora aveva otto anni, alla madre ed agli amici; ad essi
non potrà essere restituita la presenza di un uomo integerrimo, affabile, un
amico sincero. Era laureato in Economia e Commercio e stava per laurearsi anche
in Giurisprudenza. Il suo primo concorso
l’aveva vinto al Ministero delle Finanze, con sede di lavoro a Roma, in seguito
risultò vincitore al concorso per dirigente amministrativo della Regione
siciliana, conquistato per merito,
competenza e professionalità e non per altri “requisiti”.
All’epoca nel 1999 ricopriva il ruolo di dirigente dell’ Ufficio del
Personale ed Affari generali all’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste,
non apparteneva a nessun politico, disprezzava il servilismo, l’indifferenza di
alcuni colleghi; poteva apparire dal carattere ruvido, burbero ma in realtà era
una persona che ascoltava e comprendeva oltre la superficialità delle
apparenze.
Nell’esercizio amministrativo del suo ruolo di dirigente fu solo ad
istruire la pratica di licenziamento di Sprio per una condanna definitiva in Cassazione nel ’98,
che lo riconosceva colpevole di associazione a delinquere e truffa aggravata;
fu solo a prendere atto della condanna e della interdizione dai pubblici
uffici.
Fu solo a mandare l’elenco completo dei funzionari indagati o
condannati alla Commissione regionale Antimafia, qualche mese prima di essere
assassinato.
E’ proprio vero il detto popolare “il tempo è galantuomo”. Oggi sono
chiare le dinamiche e responsabilità di quei giorni, il contesto interno ed
esterno dell’Assessorato Agricoltura ed una storia a parte riguardano i tempi, i
modi e le regole di diritto amministrativo che afferivano alla singolarità del procedimento amministrativo di destituzione di
Sprio, attivato dallo stesso Basile.
A noi suoi amici piace ricordarlo come una persona normale che
rispecchiava in modo trasparente i valori di onestà e legalità, a tutti noi con
la sua vita ha testimoniato che il lavoro quotidiano ha il significato di
inderogabile dovere, missione che nel suo adempimento esprime la dignità
dell’uomo e il suo amore per la vita.
Filippo non era solo casa e lavoro, gli piaceva la compagnia di amici
e compagni di classe, con i quali nei tempi del liceo si intratteneva
volentieri, rincasando tardi e mettendo in apprensione sua madre, cui era molto
affezionato. Aveva molteplici interessi per la storia, la filosofia, il cinema,
la letteratura, l’informatica e l’hobbies dei libri di fantascienza,
confidandomi che la lettura di questo genere lo rilassavano dallo stress, come
anche il fumare pipa e la compagnia del suo
amato gatto.
Concludo ritornando al monito
brechtiano, già citato in apertura. Esso
ci mostra una doppia infelicità o potremmo dire, doppia miseria: da un lato
solo un “eroe” può emendare dalle miserie dell’umanità, dall’ altro come
scrisse Marco Revelli su la Repubblica,
12 dicembre 2013 “queste figure dell’eccezionalità finiscono per mostrare -
e misurare -, con le loro virtù solitarie, l’estensione dei vizi
collettivi.…più che stucchevoli esercizi di retorica, dovrebbero sollecitare
penosi esami di coscienza”.
Se La Regione vuole rivendicare un'identità diversa da quella di un passato ingombrante -ed è doveroso che voglia farlo- ,deve far leva sulla memoria di paladini della legalità come Filippo Basile.
RispondiEliminaBellissimo pezzo. Complimenti
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