(foto di graciela muller pozzebon; commento di francesca saieva)
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giungiamo
ai campi del pianto. ecco fedra e pasifae,
infine
elissa, la donna che ho amato e abbandonato
perché
non avevo la forza di cambiare il mio destino.
piango (sono l’amoreux?),
mi avvicino e le dico parole:
non volevo lasciarti,
obblighi mi trascinano controvoglia
per le ombre, per regni
abbandonati, per la notte profonda…
non andare via, forse non
potremo mai più rivederci…
(ma la sua ferita è in
cancrena, tiene gli occhi fissi lontano)
vedo allora un corpo
inutilmente mutilato,
senza mani, senza orecchie,
senza naso, le pendu.
la notte corre… lasciamo a
sinistra il tartaro d’acciaio,
le diable prigioniero di una donna sporca di sangue,
mentre stridono catene sotto la
roue de fortun.
a steel building, la maison dieu
all the authorities burning inside (what a silly demagogy),
prime ministers kings generals & their disfigured faces,
cropped ears cropped noses. And (once
hailing) crowds crawl
before the river, just shades hunting for
themselves…
the weeping camp smells of hospital wards,
syrinxes phleboclysis crutches &
amputation saws.
la Mort, the rest is silence.
the woman-kamikaze: no arms; her mother,
no legs,
killed in a refugee camp.
Elì Elì, lemà sabactani?
finalmente giungiamo in campi
vestiti di luce,
che conoscono sole e stelle
proprie.
e mio padre, la justice,
quello per cui avevo passato
i grandi fiumi dell’erebo.
lo trovo occupato a
controllare altre anime, le jugement:
prima che rifacciano di nuovo
il grande passo
verso la vita, ins leben.
vorrei abbracciarlo, ma non
posso,
son smeshnovo sheloveka
sogno ridicolo di uomo (pulvis
et umbra sumus).
e mi parla di chi beve lunghe
dimenticanze
sul fiume incurante dei campi
elisi (asperges me, hysopo),
dello spirito interiore che
nutre cieli e terre del mondo,
del passato che ognuno di noi
patisce,
della fragile joi
qu’esper, denan.
gigli versati a piene mani mi
mostra nel tempo a venire,
fiori purpurei della catena
delle generazioni,
fino alle due porte del
sogno.
una è di corno, dei sogni
veri, l’altra d’avorio, di quelli falsi:
il padre mi dice di passare
con sybilla per quella d’avorio,
e mi fa uscire, insieme ai
miei mani viaggianti,
a riveder le stelle, a riveder le stelle
Om Shantih, comme en apparence de rêve
nous traversons la porte d'ivoire.
at the dream doors: der Horizont, le monde
few guests de terra lonhdana.
on the stream only green leaves, mizu no oto!
pebbles & nests on the water-lilies…
a twinkling morning star, l’ètoile,
la
alma,
talitha kumi
in alto ancora le stelle che
ci guardano
commento di francesca saieva:
Ins
Leben… Il passato è
qui con il tuo viso, mentre rovine
rivestono piedi (Benjamin). Il
presente è qui in bilico, da quando un
imprevisto è la sola speranza (Montale). E vorresti dire la parola buona chiesta, ma l'aridità degli occhi va al cuore,
così per il sentiero, tu stentatamente in
tutto (Quinzio). Il Tempo batte nuovamente.
Domandi, chiedi perdono. Ciò che è stato, ciò che non è… non importa, ora che
gli orrori inondano lacrime e, come schegge affilate, assaporano
radici, ‘midollo’ di bosco. Così, scivoli lungo la Notte e il suo
Silenzio... per una nuova Aurora, nonostante l'abisso di quaggiù (Starobinski). E braccia spalancano nuove porte
del sogno: ins Leben… ricorda, questo
silenzio non è morte… tra onde del Fiume,
ciò che nasce da morte, ciò che è vero nella menzogna (Schuré). Per te,
sulla soglia della separazione e dell’incontro
(Neher), non vedo ‘fiori bianchi’, ma raccogli, oggi, un filamento… la porta della sua anima (Zambrano) ... in fondo ins Leben.