domenica 2 novembre 2014

Moralia 4. Il Brutto e il Bello della vita


di Enzo Barone

Guardando un mediocre film americano ieri pomeriggio c’era una frase di un personaggio che aveva dentro  (involontariamente credo) uno spunto degno di qualche riflessione. Una riflessione che per un bislacco accostamento mi pareva ne richiamasse in qualche modo un’altra sull’ideologia che sta dietro alla stanza raffaellesca della Segnatura in Vaticano.
La battuta, dicevamo, faceva : “Le donne belle sono tutte uguali”.
In fondo è abbastanza vero.

Ragioniamo. Una donna, un uomo belli d’aspetto, che lo siano per la voce, per il loro ovale, per il portamento, per le proporzioni del corpo o per la loro pelle, il loro sorriso, per una sola o per tutte queste qualità messe insieme, attirano, trasportano prontamente ad un approccio empatico, ad un rapporto gratificante, che si propone a noi subito come positivo.
Il credito che concediamo è spontaneo e immediato; una bella donna potrebbe indurci ad acquistare un’auto o una casa, a consigliarci una linea di finanziamento azzardata; potrebbe illustrarci più gradevolmente i monumenti di una città, insegnarci con maggiore piacere la matematica, indurci a credere sul momento di potere commettere per lei le stupidaggini più grandiose o le più insulse.
Tutte cose che certamente molti di noi non farebbero o non avrebbero fatto tanto facilmente senza questo potentissimo psicotropo, la bellezza.
Ma ciò accade in ragione delle caratteristiche estetiche individuali di quella donna /uomo belli?
Cioè ciò che ci interessa in questi casi, limitandoci ripeto alla pura sfera estetica per il momento, è davvero quel particolare tipo di bellezza, quella persona in particolare?
La bellezza nella sua dimensione più puramente sensoriale, estetica (nel valore propriamente greco) è una nozione uniforme e indistinta, generica e non circostanziabile.
E’ vero che, sempre restando nell’esempio delle belle donne, i tipi di bellezza femminile sono tanti e le qualità per cui una donna può essere considerata bella appartengono a svariate componenti del suo aspetto e del suo essere, ma indubbiamente unica è la categoria del bello; indefinito è l’iperuranio in cui noi collochiamo la bellezza; indistinta è il valore che diamo alla sua percezione.
Come tutto ciò in fondo che è alto, immenso, sublime.
Al punto tale che quando siamo veramente innamorati di un altro essere umano, volenti o nolenti, veniamo costretti in un cul de sac comunicativo: nulla è possibile dire della persona che amiamo se non soltanto ”è bellissima”.
Cosa infatti si potrebbe dire di più o di più preciso?
La bellezza, di qualunque genere e natura, assimila, divora come un buco nero nel suo campo di influenza dai contorni indefinibili e sconfinati tutto ciò che le si riferisce.
E’ vero, porco mondo, le donne belle (o tutto ciò che è bello) sono tutte uguali, ma non banalmente perché si somiglino un po’ tutte fisicamente, ma bensì perché, matematicamente parlando, oltre il simbolo ∞ infinito – e la vera bellezza si colloca nell’infinito -  non è possibile accampare alcuna graduatoria di merito.
Altra considerazione. Tornando alla Stanza della Segnatura, a proposito di come le tre virtù i il giusto, il bello e anche il vero, siano là mediatrici essenziali  tra uomo e Dio, mi viene da pensare al ruolo che la bellezza del creato ha in filosofia, nelle arti, in teologia.
Botticelli, Dante, Raffaello, per i greci, per i teologi è mezzo meraviglioso ma funzionale per elevarsi alla divinità, per riconoscerne la presenza nella natura, una specie di cartina al tornasole in terra dell’assoluto.

Il brutto, ciò che è esteticamente poco significativo, no. E’ altro.
Non il contrario del bello, il lato oscuro della limpida faccia della luna. Il concetto di brutto, il non-bello, è una astrazione non assimilabile per genere al suo opposto: due insiemi appartenenti a sistemi diversi.
Ogni cosa brutta insomma è brutta a modo suo.
E anche qui non per le caratteristiche individuali assai diverse, ma perché il non bello non è una categoria unica e indistinta, è invece la sommatoria di una serie molteplice di oggetti o individui unici, univocamente non-belli e senza relazione reciproca. E’ un inventario di ciò che resta escluso dalla categoria (questa si) di ciò che è ameno, elevato, a cui tutti tendiamo.
Nessun iperuranio lo accoglie, nessuna aspirazione di ascesa spirituale è stimolata o motivata dal brutto.
Noi ci riferiamo raramente a qualcuno di cui non conosciamo il nome - tranne che in casi davvero estremi -  identificandolo come quel brutto/quella brutta, vuoi per un giusta e inconscia deferenza alla sofferenza che dalla bruttezza deriva, vuoi proprio perché ogni cosa o persona possiede una sua peculiare non-bellezza.
Il brutto come qualifica indistinta insomma non esiste. 

In seconda analisi, proprio perché non adulterato e mistificato dalla favolosa aurea della bellezza, che attrae i sensi o induce ad elevazioni mistiche, il non-bello quindi, è di per sé più profondamente conoscibile, si pone come più autentico all’analisi dell’osservatore, in modo più sincero nel rapporto con chi lo percepisce, di chi vuole cogliere l’essenza del non seducente. L’approccio al non bello è cioè più spassionato, freddo, razionale.
Si potrebbe in ultima analisi dire che il brutto è oggetto di conoscenza, mentre il bello assoluto è inconoscibile per definizione.
Inoltre se, come andava indicando nel rinascimento il pensiero cristiano platonizzante, il bello in natura ci aiuta a riconoscere la perfezione del creato e la bellezza del creatore, al non-bello allora, tornando alle tre virtù della Stanza della Segnatura, non rimane allora che essere richiamato prepotentemente dai poli di attrazione del vero o del giusto.
Il brutto è’ vero in definitiva, o comunque lo è più del bello.
Non è un sillogismo meccanico: naturalmente non sempre il brutto è vero o giusto, quanto piuttosto esso spesso è quasi costretto ad esserlo per non divenire irrilevante, insignificante, rimanendo invece nella sfera dei soli valori sensibili. Il suo ruolo è cioè quello del convitato di pietra al banchetto delle virtù, l’altra aspetto del sogno del mondo perfettamente bello delle idee.
Se infine tutto ciò che è brutto, dicevamo, non è necessariamente vero (o giusto), in una realtà visibile dove il non-bello soverchia di gran lunga il bello e dove la bellezza stessa in fondo non è che parziale, percezione transitoria e illusoria, mai assoluta, occorre capovolgere i termini della questione; sono semmai il vero e il giusto di Dio o dell’uomo che in questo mondo vanno cercati nella bruttura, contentandosi di trovarli così come sono nella realtà: sporchi di fango, imperfetti e macilenti simulacri del mondo che vorremmo.

2 commenti:

  1. indubbio
    lei scrive benissimo, quindi potendo traslare il suo discorso sulla scrittura, volendo considerarla come una donna, cosa potrebbe delineare i contorni della sua bellezza e dove e altrettanto cosa cercare nella sua bruttezza laddove veramente esista?
    SilviaDelloRusso

    RispondiElimina
    Risposte
    1. grazie del complimento. il suo commento è raffinato e sibillino (in questo mi batte 2 a 0)

      Elimina

Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie