di Enzo Barone
Guardando un mediocre film
americano ieri pomeriggio c’era una frase di un personaggio che aveva
dentro (involontariamente credo) uno
spunto degno di qualche riflessione. Una riflessione che per un bislacco accostamento
mi pareva ne richiamasse in qualche modo un’altra sull’ideologia che sta dietro
alla stanza raffaellesca della Segnatura in Vaticano.
La battuta, dicevamo, faceva : “Le
donne belle sono tutte uguali”.
In fondo è abbastanza vero.
Botticelli, Dante, Raffaello, per i greci, per i teologi è mezzo meraviglioso ma funzionale per elevarsi alla divinità, per riconoscerne la presenza nella natura, una specie di cartina al tornasole in terra dell’assoluto.
Ragioniamo. Una donna, un uomo belli
d’aspetto, che lo siano per la voce, per il loro ovale, per il portamento, per le
proporzioni del corpo o per la loro pelle, il loro sorriso, per una sola o per
tutte queste qualità messe insieme, attirano, trasportano prontamente ad un
approccio empatico, ad un rapporto gratificante, che si propone a noi subito
come positivo.
Il credito che concediamo è
spontaneo e immediato; una bella donna potrebbe indurci ad acquistare un’auto o
una casa, a consigliarci una linea di finanziamento azzardata; potrebbe illustrarci
più gradevolmente i monumenti di una città, insegnarci con maggiore piacere la
matematica, indurci a credere sul momento di potere commettere per lei le
stupidaggini più grandiose o le più insulse.
Tutte cose che certamente molti
di noi non farebbero o non avrebbero fatto tanto facilmente senza questo
potentissimo psicotropo, la bellezza.
Ma ciò accade in ragione delle
caratteristiche estetiche individuali di quella donna /uomo belli?
Cioè ciò che ci interessa in
questi casi, limitandoci ripeto alla pura sfera estetica per il momento, è
davvero quel particolare tipo di bellezza, quella persona in particolare?
La bellezza nella sua dimensione
più puramente sensoriale, estetica (nel valore propriamente greco) è una
nozione uniforme e indistinta, generica e non circostanziabile.
E’ vero che, sempre restando
nell’esempio delle belle donne, i tipi di bellezza femminile sono tanti e le
qualità per cui una donna può essere considerata bella appartengono a svariate
componenti del suo aspetto e del suo essere, ma indubbiamente unica è la
categoria del bello; indefinito è l’iperuranio in cui noi collochiamo la
bellezza; indistinta è il valore che diamo alla sua percezione.
Come tutto ciò in fondo che è
alto, immenso, sublime.
Al punto tale che quando siamo
veramente innamorati di un altro essere umano, volenti o nolenti, veniamo
costretti in un cul de sac comunicativo: nulla è possibile dire della
persona che amiamo se non soltanto ”è bellissima”.
Cosa infatti si potrebbe dire di
più o di più preciso?
La bellezza, di qualunque genere
e natura, assimila, divora come un buco nero nel suo campo di influenza dai
contorni indefinibili e sconfinati tutto ciò che le si riferisce.
E’ vero, porco mondo, le donne
belle (o tutto ciò che è bello) sono tutte uguali, ma non banalmente perché si
somiglino un po’ tutte fisicamente, ma bensì perché, matematicamente parlando,
oltre il simbolo ∞ infinito – e la vera
bellezza si colloca nell’infinito - non
è possibile accampare alcuna graduatoria di merito.
Altra considerazione. Tornando
alla Stanza della Segnatura, a proposito di come le tre virtù i il giusto, il
bello e anche il vero, siano là mediatrici essenziali tra uomo e Dio, mi viene da pensare al ruolo che
la bellezza del creato ha in filosofia, nelle arti, in teologia. Botticelli, Dante, Raffaello, per i greci, per i teologi è mezzo meraviglioso ma funzionale per elevarsi alla divinità, per riconoscerne la presenza nella natura, una specie di cartina al tornasole in terra dell’assoluto.
Il brutto, ciò che è esteticamente
poco significativo, no. E’ altro.
Non il contrario del bello, il
lato oscuro della limpida faccia della luna. Il concetto di brutto, il
non-bello, è una astrazione non assimilabile per genere al suo opposto: due insiemi
appartenenti a sistemi diversi.
Ogni cosa brutta insomma è brutta
a modo suo.
E anche qui non per le caratteristiche
individuali assai diverse, ma perché il non bello non è una categoria unica e
indistinta, è invece la sommatoria di una serie molteplice di oggetti o
individui unici, univocamente non-belli e senza relazione reciproca. E’ un inventario
di ciò che resta escluso dalla categoria (questa si) di ciò che è ameno, elevato,
a cui tutti tendiamo.
Nessun iperuranio lo accoglie,
nessuna aspirazione di ascesa spirituale è stimolata o motivata dal brutto.
Noi ci riferiamo raramente a
qualcuno di cui non conosciamo il nome - tranne che in casi davvero estremi
- identificandolo come quel brutto/quella
brutta, vuoi per un giusta e inconscia deferenza alla sofferenza che dalla
bruttezza deriva, vuoi proprio perché ogni cosa o persona possiede una sua peculiare
non-bellezza.
Il brutto come qualifica
indistinta insomma non esiste.
In seconda analisi, proprio
perché non adulterato e mistificato dalla favolosa aurea della bellezza, che
attrae i sensi o induce ad elevazioni mistiche, il non-bello quindi, è di per
sé più profondamente conoscibile, si pone come più autentico all’analisi dell’osservatore,
in modo più sincero nel rapporto con chi lo percepisce, di chi vuole cogliere
l’essenza del non seducente. L’approccio al non bello è cioè più spassionato,
freddo, razionale.
Si potrebbe in ultima analisi dire
che il brutto è oggetto di conoscenza, mentre il bello assoluto è inconoscibile
per definizione.
Inoltre se, come andava indicando
nel rinascimento il pensiero cristiano platonizzante, il bello in natura ci
aiuta a riconoscere la perfezione del creato e la bellezza del creatore, al
non-bello allora, tornando alle tre virtù della Stanza della Segnatura, non
rimane allora che essere richiamato prepotentemente dai poli di attrazione del
vero o del giusto.
Il brutto è’ vero in definitiva, o
comunque lo è più del bello.
Non è un sillogismo meccanico:
naturalmente non sempre il brutto è vero o giusto, quanto piuttosto esso spesso
è quasi costretto ad esserlo per non divenire irrilevante, insignificante,
rimanendo invece nella sfera dei soli valori sensibili. Il suo ruolo è cioè quello
del convitato di pietra al banchetto delle virtù, l’altra aspetto del sogno del
mondo perfettamente bello delle idee.
Se infine tutto ciò che è brutto,
dicevamo, non è necessariamente vero (o giusto), in una realtà visibile dove il
non-bello soverchia di gran lunga il bello e dove la bellezza stessa in fondo
non è che parziale, percezione transitoria e illusoria, mai assoluta, occorre capovolgere
i termini della questione; sono semmai il vero e il giusto di Dio o dell’uomo che
in questo mondo vanno cercati nella bruttura,
contentandosi di trovarli così come sono nella realtà: sporchi di fango, imperfetti
e macilenti simulacri del mondo che vorremmo.
indubbio
RispondiEliminalei scrive benissimo, quindi potendo traslare il suo discorso sulla scrittura, volendo considerarla come una donna, cosa potrebbe delineare i contorni della sua bellezza e dove e altrettanto cosa cercare nella sua bruttezza laddove veramente esista?
SilviaDelloRusso
grazie del complimento. il suo commento è raffinato e sibillino (in questo mi batte 2 a 0)
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