domenica 9 novembre 2014

Chi muore per Kobani?

 
 
di Enzo Barone
 
Morire per Kobani? E soprattutto morire per Kobani potrebbe servire a salvare l’umanità dalla barbarie del XXI secolo? Questo potrebbe essere il nuovo interrogativo epocale che si pone dopo 60 anni - in modo certo infinitamente più fiacco e senza alcuna aura di romanticismo - ai potentati occidentali di fronte all’avanzata apparentemente inarrestabile dell’Isis in medio oriente.

Yilmaz Orkan dell’UIKI-ONLUS, Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, è una giovane curda dai lineamenti forti e l’incarnato bruno dei mediorientali dell’interno, potrebbe anche essere facilmente una delle nostre donne dalla lontana ascendenza berbera.
Quando parla sembra sempre sul punto di inciampare ed essere fermata dalla sua stessa emotività. Ci dice in un italiano instabile, ma che vibra di forza che è come alla vigilia della seconda guerra mondiale. “Allora una coalizione internazionale sembrava coesa per fermare la follia nazista, ma fu incerta e si mosse tardi e allora si diede ad Hitler un vantaggio che costò sofferenze infinite e un numero impressionante di morti. Noi curdi non staremo zitti davanti a tutto ciò, davanti a questo genocidio.”
L’abbiamo incontrata insieme a Harvin Guneser, un’altra attivista curda, qualche giorno fa alla facoltà di scienze politiche di Palermo, invitate dai Comitati di Base No-Muos Palermo per parlare della situazione attuale in medio oriente e della questione curda.
Yilmaz ha  proprio l’aria di chi sa di cosa sta parlando. “Da mesi i curdi hanno imparato a difendersi da soli. Noi adesso non combattiamo solo per noi stessi, abbiamo anche il dovere di combattere per l’umanità, ma abbiamo bisogno dell’umanità. Non vogliamo nessun intervento militare esterno, non vogliamo nessuno nei nostri territori. Chi arriva con il pretesto del sostegno militare poi rimane per controllarli. Non abbiamo necessità delle potenze occidentali, ma aiuti umanitari, armi, sostegno politico.” E d’altra parte non pare, almeno per il momento, che nessun paese dell’area NATO si sogni di arrischiare preziose vite americane o europee per cacciare i tagliagole islamisti, nonostante le isolate dichiarazioni di qualche sagoma con le stellette del pentagono.
Pare piuttosto che davanti all’orrore fin troppo scopertamente plateale, davanti alle brutalità da male assoluto dell’ISIS che quotidianamente ci propongono i media in una gigantesca pulp fiction a consumo familiare i quadri dirigenti dell’occidente e persino l’opinione pubblica siano tiepidi per non dire distratti o disinteressati. Per cui rispetto al contrasto all’avanzata del califfato sarebbe d’obbligo un’altra citazione storica: cui prodest?
E cioè, se agli americani sono occorsi 40 giorni nel 2001 per far cadere il regime talebano in Afghanistan e un mese e mezzo nel 2003 per quello di Saddam Hussein, come mai in sette mesi di continui appelli strazianti da mamma li turchi dei TG e i diluvi di sangue gli occidentali si sono limitati in un mese ad poche migliaia di incursioni aeree, contro le 38.000 effettuate in due mesi nei confronti della Serbia nel 1999 (fonte Panorama del 2 ottobre)? Lasciando per l’appunto in molti settori, soprattutto in quello nord-occidentale del fronte, i soli curdi ad opporsi all’avanzata islamista.
Già si diceva dei Curdi. La più grande nazione (circa 50 milioni di persone) senza Stato. Di loro l’opinione pubblica occidentale si ricorda ogni tanto, magari solo per una catartica commiserazione davanti alle persecuzioni e ai massacri operati da qualcuno degli stati “ospitanti” o perché sfiorati marginalmente da episodi di maggiore portata mediatica.
Harvin Guneser, dell’International Initiative freedom for Abdullah Ocalan, con toni garbati, il tono pacato e rassicurante di chi è abituato a parlare nel politically correct dei media occidentali ha tracciato un quadro della situazione storico-politica della regione e della storia della questione curda. La sua visione della situazione politica nel medio oriente è certamente ideologicamente orientata, ma è assolutamente obiettiva nella trattazione dei fatti, onesta e condivisibile nell’analisi storica, soprattutto nelle valutazioni etiche sulle responsabilità che gravano sui protagonisti delle vicende regionali nell’ultimo secolo.
“Le potenze, occidentali dopo La Prima Guerra mondiale hanno deciso di spartirsi l’impero ottomano non rispettando in nessun modo le volontà dei popoli, i diritti delle nazioni, soprattutto di quella curda. In tempi più recenti poi gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali, in testa, hanno cercato dalla Prima Guerra del Golfo in poi di destabilizzare il Medio Oriente per i loro interessi. Un medio oriente destabilizzato, diviso è più facilmente manovrabile e sfruttabile dai paesi egemoni. Destabilizzazione che da qualche anno si è anche allargata al nord africa. Qualche volta però, come in Egitto o in Siria, le cose non vanno alla fine esattamente così come le intelligence avrebbero voluto. Ma certamente dal caos, dal disordine politico e sociale l’Occidente ha avuto finora tutto da guadagnare.
L’Isis appunto è una creatura dei servizi segreti americani, sostenuto da Germania, Qatar, Arabia Saudita, Inghilterra. E’nato per destabilizzare un regime, quello di Bashar el Assad che pareva granitico.”
-          Un mostro che si pensava di controllare e che è sfuggito di mano…
“No guardi, non c’è nessun mostro senza controllo. Certo Obama e i suoi consiglieri della CIA in medio oriente hanno fatto degli errori ed hanno dovuto ripensare in varie occasioni la loro strategia, ma l’ISIS di sicuro non è un mostro fuori controllo. Quello che succede in ultima analisi rientra nei disegni degli USA. La rappresentazione fatta in questo ultimo mese dei Curdi, ad esempio, come degli eroici, estremi, disperati difensori di Kobani è un’immagine affascinante, che fa comodo a tutto l’Occidente. Ma i curdi in realtà sono stati lasciati soli, soli a resistere a farsi ammazzare con pochi soldi e armi. Dove sono gli interventi militari a sostegno dei curdi? Dove sono i bombardamenti a tappeto promessi contro l’ISIS? ” (Nei giorni successivi all’intervista la situazione è mutata: unità dell’esercito libero siriano e Peshmerga curdi stanno rimpolpando la forze della resistenza a Kobani attraverso la creazione di un corridoio di passaggio N.D.R.)  Harvin sembra adesso perdere l’aplomb europeo per farsi invadere da una sincera passione orientale.
“Parlando della Turchia poi, anch’essa apparentemente assai preoccupata  dall’ISIS tanto da schierare le truppe sulla frontiera dietro a Kobani e fornire basi per i raid aerei americani, essa ha in realtà tutto l’interesse a veder avanzare le forze del califfo. Perché da un rimescolamento geopolitico della regione può avere da guadagnare. Perché i turchi sognano il ritorno dell’impero ottomano. La Turchia in realtà è per l’ISIS, sta dalla parte dell’ISIS, ma ufficialmente deve riprovare le sue azioni e così altri stati dell’area e non”
Insomma, se abbiamo capito bene, la Turchia vorrebbe lasciare che il Califfato islamico faccia il lavoro sporco, progettando di subentrargli poi nell’acquisizione dei territori che stanno cadendo sotto il suo controllo. E certamente non abbiamo capito male quando la nostra intervistata ci ha lasciato intendere che il ruolo di quel paese nella vicenda ISIS non è solo quello di chi approfitta cinicamente di una situazione di fatto, ma forse anche quello di sostenitore e finanziatore occulto.
-          Signora Guneser indossiamo l’abito candide delle anime buone, di chi crede nella buona fede dell’Occidente nei confronti del medio oriente: cosa dovrebbe fare politicamente e militarmente una coalizione internazionale, che volesse fare il bene del popolo curdo e portare la pace nella regione?
 “Dalle parti nostre c’è un proverbio che dice: non fare ombra al tuo vicino. Cioè fatti gli affari tuoi e non ti intromettere negli affari degli altri.”  Che è poi quello che in altri termini aveva già sostenuto Yilmaz.
Viene allora da chiedersi di cosa diavolo mai abbiano bisogno questi incontentabili curdi.
 “Di armi, di denaro certo, ma soprattutto di solidarietà, abbiamo bisogno di sentire il mondo vicino alla nostra lotta. Lasciateci fare da soli; militarmente vogliamo semmai l’apertura di un corridoio che ci ricolleghi alle altre forze curde del nord del Kurdistan siriano per sfuggire al rischio di un accerchiamento (cosa in parte avvenuta, come detto sopra N.D.R.).”
Durante conferenza  delle due attiviste c'è però qualcos'altro che ci incuriosisce e ci seduce. E' il racconto che fanno dell’esperienza di autodeterminazione che parte dal basso nella regione di Rojava, nel nord ovest della Siria curda Chiediamo alle due donne, militanti del PKK, se ritengono riuscito il tentativo di partecipazione comunitaria e democratica al potere nel governatorato di fatto autonomo di Rojava.
“Nel Rojava, - spiega Harvin - il governatorato divenuto di fatto autonomo dopo lo scoppio della guerra civile siriana, stiamo attuando felicemente il progetto di amministrazione collettivistica anticapitalista ipotizzato dal nostro leader Öcalan. La democrazia partecipativa che si sta realizzando presuppone due momenti: da un lato l’esistenza delle municipalità libertarie e poi le organizzazioni partecipative a vari livelli nelle città e villaggi ( di lavoratori, donne, giovani, di quartieri, le categorie di lavoratori etc.) che inviano a livelli di rappresentanza via via sempre più alti le esigenze e le istanze che vengono dal basso.”
Insomma un laboratorio di egualitaritarismo, dove le ricchezze sono ridistribuite e il popolo governa attraverso le Comuni i centri del potere superiori. Le donne hanno un ruolo di primissimo piano e le vecchie strutture tribali di minorità femminile sono state ampiamente superate. Sembrava un'utopia fallita nel corso della storia,ma noi ci stiamo riuscendo.
“Noi vogliamo semplicemente affermare pacificamente – spiega la Orkan -  che esiste un altro modo di gestire la società, di vivere oltre a quello capitalistico di sfruttare i popoli. Per essere anticapitalisti però bisogna innanzi tutto iniziare a comportarsi, a praticare comportamenti anticapitalisti. Sappiamo che non è possibile eliminare lo Stato, allora bisogna iniziare ad autodeterminare comportamenti anticapitalisti. In Italia ho conosciuto molte persone che hanno una capacità intellettuale molto forte per lottare contro il sistema capitalistico, ma poi nella prassi non fanno nulla per cambiare le cose. Senza responsabilizzazione non ci può essere nessuna forma di socialismo, egualitarismo.”
“ Per moltissimo tempo – interviene la Guneser -  si è ritenuto un grosso problema il fatto che il Kurdistan non fosse uno Stato e che difficilmente possa esserlo a breve. Ultimamente però il nostro Öcalan, ritiene che il capitalismo sfrutti la forma Stato come mezzo. Öcalan oggi non è contro Siria, Iraq, Iran e Turchia, non desidera che questi Stati cedano necessariamente i territori curdi per la creazione finalmente del Kurdistan. Vuole lottare piuttosto affinché questi paesi divengano più democratici, perché concedano ampie forme di autonomia ai territori curdi.”
E’ questo in definitiva secondo le rappresentanti della resistenza curda che probabilmente fa più paura alla vicina Turchia e a molti stati occidentali. Che questo modello di egualitarismo possa propagarsi e diffondersi. La Turchia e molti altri in realtà vedrebbero come una benedizione un ridimensionamento delle aspirazioni autonomistiche curde. E per un altro verso sarebbero felici di vedere i “comunisti” del PKK fiaccati dai colpi dell’ISIS.
D’altra parte proprio la Kobani assediata è cuore pulsante della «libertà democratica, ecologica e di genere» di Öcalan; ci sono Case delle donne, centri culturali e artistici, associazioni di assistenza alle famiglie. Le nuove attività economiche sono regolate come cooperative: gli utili garantiscono il mantenimento di numerose famiglie. Il sistema anti-capitalistico di base ha bloccato, per esempio, l'aumento dei prezzi di beni essenziali per il vuoto di controlli statali (fonte “Lettera 43” di venerdì 7 novembre).
Per cui ritornando al cui prodest di prima, chiediamoci ancora a chi giovi fermare sul serio e per sempre le orde nere islamiste.
La risposta è a non molti in realtà.
Ai curdi certamente, e a chi altro?
 
 
 
 
 


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