mercoledì 5 ottobre 2011

Indignati a New York


di Enzo Barone
E’ arrivato alla terza settimana il plateale sit in di protesta, contro gli effetti della crisi economica internazionale e soprattutto contro le cause che l’hanno generata, che alcuni indignatos statunitensi montano a New York, culminato con l’occupazione di Wall Street di qualche giorno fa.
Prima di entrare nel merito della questione sono di non trascurabile rilievo due elementi.
E’ la prima volta che gli organi di informazione hanno definito i manifestanti, e per i metodi adottati e per i loro contenuti, proprio col termine con cui si sono autodefiniti i movimenti degli indignati d’oltre oceano, volendo così evidenziare come, diversamente dalle tradizionali forme di mobilitazione sociale americane, questa somiglia molto di più ad uno sciopero o ad una agitazione di tipo europeo, per la veemenza degli slogan, per la violenza verbale e non, per la intensità dell’impegno sociale, per la radicalità e forse anche per l’intransigenza nel sollevare le questioni.
Il secondo elemento è che, pur non essendo gli Stati Uniti naturalmente nuovi a questo tipo di proteste, nutrite di tali motivazioni (anzi proprio là già nel 2008, all’indomani dello scoppio della crisi finanziaria negli States, videro per la prima volta la luce siffatte manifestazioni) è la prima volta che i manifestanti hanno ricevuto un così ampio e pubblico appoggio da parte di molte personalità del mondo dello spettacolo e della cultura liberal. Quasi una legittimazione delle ragioni della protesta proveniente da una parte dell’intellighenzia americana.
Sono due fenomeni di una certa importanza, se anche le forme dell’agire hanno precise valenze simbolico-culturali, mi pare.
Ritornando al nocciolo della protesta anche qui possiamo rilevare delle analogie con l’Europa. Cosa vogliono, cosa chiedono al governo, al sistema questi americani incazzati come degli italiani o degli spagnoli? Cosa vogliono di preciso, ad eccezione dell’urgenza di esternare una rabbia profondamente motivata? Cosa sanno di macroeconomia e di modelli economici globali ?
Molto poco, ma non troppo poco. Abbastanza per avere capito forse una sola cosa, urlandola con una forza inaudita. Che sono stati pochi grandi investitori (poco avveduti nel migliore dei casi e molto più spesso farabuti matricolati). Che bastano le manovre sbagliate di alcune banche americane da sole a dare inizio  allo sfacelo mondiale che oggi ci ritroviamo sopra le teste. Che infine la più dura crisi economica che probabilmente gli uomini e le donne del mondo occidentale (e non solo) abbiano mai attraversato, quella che riduce sul lastrico aziende e famiglie, che genera disoccupati e disperati senza futuro, ha come nuclei generatori manovre o investimenti finanziari da parte di  attori finanziari – che siano le grandi speculazioni internazionali o gli investimenti sbagliati del credito immobiliare  americano - assolutamente estranee, lontane dalla vita e dalla reakle comprensione delle sue ragioni e soprattutto dalla possibilità di potere influire in alcun modo sui suoi sviluppi da parte del cittadino comune. Anche nel 2011, nell’Occidente dove sempre di più sembra affermarsi inarrestabile il culto dei diritti inalienabili dell’essere umano, quasi tutti siamo prede assolutamente inermi, senza diritti, di alcune decine di grandi signori della finanza.
E questo la Gente, anche quella comune, ormai lo ha capito.

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