di Valentina Sechi
In questi giorni è accaduto qualcosa che non ci
saremmo mai aspettati e che ci ha travolto drammaticamente: l’epidemia di
SARS-CoV 2, meglio noto come Coronavirus si è diffusa su scala mondiale
sospendendo le nostre vite e lasciando dietro di sé una lunga scia di morte e
dolore.
Al di là dell’emergenza sanitaria, il mondo
politico, sociale ed economico che conosciamo è destinato a mutare
irrimediabilmente.
A livello globale sono mancate solidarietà e
cooperazione necessarie a coordinare una risposta efficace alla pandemia.
L’ordine instauratosi dopo la Seconda Guerra Mondiale, aveva già ceduto il
passo a un sistema multipolare che l’epidemia cristallizza in cui i rapporti di
potere sono mutati: la Russia è a un passo dalla riforma costituzionale che
permetterà al Presidente Putin di governare fino al 2036, la Cina sfrutta la
propria potenza economica per conquistare la scena geo-politica e si avvale in tal senso
anche della strumentalizzazione mediatica della pandemia come propaganda della
propria politica interna nonostante l’espulsione di giornalisti stranieri e limiti nell’accesso
ai media e al dibattito pubblico dopo aver minimizzato gli effetti del virus e
in seguito aver imposto misure fortemente stringenti come l’isolamento della
provincia di Wuhan dove sarebbe avvenuto il passaggio del virus dagli animali
all’uomo, la Turchia ha abbandonato l’obiettivo di entrare nell’UE puntando su
un approccio nazionalista allo sviluppo, tendenze analoghe verso
centralizzazione e autoritarismo si registrano in India e Brasile in
coincidenza con il sorgere di governi e partiti nazional-populisti.
Con riguardo all’Occidente liberale si registrano
forti spinte nazionaliste: gli USA sono determinati a proteggere la propria
popolazione e gli interessi economici mentre con riferimento all’Europa dopo
giorni di confusione non si è avuta una risposta univoca e compatta da parte di
Bruxelles incapace di sostenere prontamente gli Stati più colpiti, tra cui
l’Italia, sebbene a breve dovrebbe essere presentato un piano di rilancio
europeo.
In Ungheria, il Primo Ministro Orban ha ottenuto dal
Parlamento pieni poteri per governare mediante decreti per un periodo di tempo
indefinito per rispondere allo stato di emergenza di cui egli stesso decreterà
il termine. Tale scelta è stata fortemente criticata da più parti in Europa, il
Ministro per gli Affari europei della Germania Roth ha commentato che il Covid-19
richiede risposte adeguate senza mettere in pericolo le norme che disciplinano
l’esercizio dei pubblici poteri, le istituzioni democratiche e i diritti
fondamentali. La Commissione Europea ha promesso che vigilerà sulla situazione
temendo che si tratti di un pretesto di Orban per cementare il proprio potere
dato che gli è concesso impedire dimostrazioni pubbliche e limitare le opportunità
di critica da parte di avversari politici e media. L’apprensione è motivata
anche dalla sospensione un anno fa del partito di Orban dal gruppo conservatore
nel Parlamento Europeo per le sue azioni contro i media e l’indipendenza del
potere giudiziario.
Secondo il gruppo di crisi internazionale, la
pandemia rappresenta una sfida per salute pubblica ed economia globale, ma le
conseguenze politiche sono sottovalutate, occorre scongiurare il rischio che
leader senza scrupoli possano sfruttare la pandemia per esacerbare crisi
interne o internazionali. Oltre
l’emergenza sanitaria, tutti hanno qualcosa da dimostrare: Trump di meritare un
secondo mandato, l’Europa di essere all’altezza del ruolo che ricopre e le sue
democrazie delle aspettative dei propri popoli, la Cina di affermare
definitivamente la propria centralità.
Si registrano due spinte contrapposte: da un lato si
chiede di ripensare la globalizzazione e dall’altro si moltiplicano spinte
nazionaliste.
Con riferimento alla prima, Robert
Kaplan del Gruppo Eurasia sostiene che il Coronavirus segna lo spartiacque tra
la prima fase della globalizzazione e la seconda, quest’ultima si fonderebbe su
nuove e vecchie divisioni globali di tipo economico e sociale con la nascita di
autocrazie. Secondo il giornalista Gideon Rachman autore dell’articolo ”Il nazionalismo è un effetto collaterale del
Coronavirus” la resistenza alla globalizzazione era già
invocata sia dalla sinistra ambientalista che insisteva sulla localizzazione
che dalla destra xenofoba preoccupata di tenere lontani rifugiati e immigrati
ma essendo la pandemia intrinsecamente
un problema globale richiede una
governance internazionale.
Se le sfide globali sono per loro natura condivise,
gli Stati dispongono di mezzi differenti per affrontarle, le conseguenze
dell’epidemia potrebbero essere molto gravi per i Paesi più poveri e con
risorse limitate, per i rifugiati e le zone di guerra che risentono dei danni
al commercio internazionale e della disoccupazione legate al rallentamento
dell’economia mondiale che avvertirà gli effetti degli ingenti stanziamenti
disposti dai governi nazionali nel tentativo di far fronte all’emergenza mentre
riappaiono limiti alla circolazione e controlli alle frontiere anche nell’area
Schengen.
Si prospettano due scenari principali: alcuni
analisti evidenziano gli effetti benefici della pandemia sull’ambiente a causa
della chiusura di molte attività economiche e la temporanea sospensione di
conflitti civili e rivalità sottolineando interdipendenza globale e l’importanza
di approcci condivisi e multilaterali; altri ,tra cui il professore di
Relazioni Internazionali dell’Università di Yale, Stephen Walt, sostengono che
la pandemia rafforzerà Stati e
nazionalismi accelerando il processo di egemonizzazione dell’Oriente sull’Occidente
e portando i cittadini a cercare protezione nei governi nazionali che
cercheranno di ridurre future vulnerabilità e che all’indomani della crisi
finanziaria del 2008 hanno risposto alle pressanti richieste da parte dei
propri cittadini con soluzioni unilaterali.
Aiuti di Stato straordinari a cittadini e imprese
suggeriscono che gli Stati recuperano centralità sulla scena internazionale
poiché sembrano gli unici attori a poter offrire risorse finanziarie e
organizzative di cui sono carenti forum e istituzioni multilaterali e persino
le istituzioni dell’UE (che hanno un mero ruolo di coordinamento) poiché ogni
singolo stato elabora le proprie modalità di risposta all’emergenza con le misure che ritiene più opportune tra
cui in vari casi il ricorso all’esercito per supportare la gestione
dell’emergenza temendo che l’indebolimento della coesione sociale conduca a
disordini.
Per il professore della London School of Economics
Milanovic, se i governi devono ricorrere a forze militari o paramilitari per sedare
disordini, le società potrebbero iniziare a disgregarsi per cui la politica
economica dovrebbe mirare a prevenire il disgregamento sociale. Da un’altra
prospettiva, la mobilitazione nazionale, specie di volontari, rappresenta uno
sviluppo positivo piuttosto che una minaccia alle libertà civili: questo senso
rinnovato di condivisione e unità nazionale è un antidoto necessario al nazionalismo
regressivo degli ultimi anni che richiede protezionismo, localizzazione delle
produzioni e controlli alle frontiere. Il problema è rappresentato dalla
possibilità che lo Stato-nazione sfoci in un nazionalismo incontrollato con
conseguente crollo nel commercio globale e riduzione della cooperazione
internazionale fino al possibile collasso dell’UE e la rottura dei rapporti tra
USA e Cina, impegnate ad accusarsi reciprocamente su chi abbia maggiori
responsabilità nella vicenda.
Bisogna fare fronte comune e mettere da parte le
polemiche evitando la frammentazione e percorrendo la via della cooperazione,
riconoscere che gli Stati sono importanti ma non possono vincere la battaglia
da soli.
Le misure di lockdown potranno anche non piacere ma
finchè non si troverà una cura idonea o trovato un vaccino, l’unico modo per
tentare di appiattire la curva dei contagi è il distanziamento sociale. Verrà
il tempo in questi giorni saranno un ricordo, quel giorno però non è oggi. Come
ha recentemente affermato il Presidente del Consiglio Conte:” Arriverà il tempo
di interrogarsi sugli errori commessi e sarà giusto che tutti diano la loro
opinione. Ora è il momento dell’azione e della responsabilità, poi verrà il
tempo del fare i conti e delle critiche”.
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