lunedì 6 aprile 2020

Coronavirus e nazionalismi

Coronavirus, “a Orban poteri illimitati. Ha fatto a pezzi la sanità, ma vuole essere l’eroe della pandemia. Ue immobile, ma l’ha visto crescere”

di Valentina Sechi

In questi giorni è accaduto qualcosa che non ci saremmo mai aspettati e che ci ha travolto drammaticamente: l’epidemia di SARS-CoV 2, meglio noto come Coronavirus si è diffusa su scala mondiale sospendendo le nostre vite e lasciando dietro di sé una lunga scia di morte e dolore.
Al di là dell’emergenza sanitaria, il mondo politico, sociale ed economico che conosciamo è destinato a mutare irrimediabilmente.
A livello globale sono mancate solidarietà e cooperazione necessarie a coordinare una risposta efficace alla pandemia. L’ordine instauratosi dopo la Seconda Guerra Mondiale, aveva già ceduto il passo a un sistema multipolare che l’epidemia cristallizza in cui i rapporti di potere sono mutati: la Russia è a un passo dalla riforma costituzionale che permetterà al Presidente Putin di governare fino al 2036, la Cina sfrutta la propria potenza economica per conquistare  la scena geo-politica e si avvale in tal senso anche della strumentalizzazione mediatica della pandemia come propaganda della propria politica interna nonostante l’espulsione di  giornalisti stranieri e limiti nell’accesso ai media e al dibattito pubblico dopo aver minimizzato gli effetti del virus e in seguito aver imposto misure fortemente stringenti come l’isolamento della provincia di Wuhan dove sarebbe avvenuto il passaggio del virus dagli animali all’uomo, la Turchia ha abbandonato l’obiettivo di entrare nell’UE puntando su un approccio nazionalista allo sviluppo, tendenze analoghe verso centralizzazione e autoritarismo si registrano in India e Brasile in coincidenza con il sorgere di governi e partiti nazional-populisti.
Con riguardo all’Occidente liberale si registrano forti spinte nazionaliste: gli USA sono determinati a proteggere la propria popolazione e gli interessi economici mentre con riferimento all’Europa dopo giorni di confusione non si è avuta una risposta univoca e compatta da parte di Bruxelles incapace di sostenere prontamente gli Stati più colpiti, tra cui l’Italia, sebbene a breve dovrebbe essere presentato un piano di rilancio europeo.
In Ungheria, il Primo Ministro Orban ha ottenuto dal Parlamento pieni poteri per governare mediante decreti per un periodo di tempo indefinito per rispondere allo stato di emergenza di cui egli stesso decreterà il termine. Tale scelta è stata fortemente criticata da più parti in Europa, il Ministro per gli Affari europei della Germania Roth ha commentato che il Covid-19 richiede risposte adeguate senza mettere in pericolo le norme che disciplinano l’esercizio dei pubblici poteri, le istituzioni democratiche e i diritti fondamentali. La Commissione Europea ha promesso che vigilerà sulla situazione temendo che si tratti di un pretesto di Orban per cementare il proprio potere dato che gli è concesso impedire dimostrazioni pubbliche e limitare le opportunità di critica da parte di avversari politici e media. L’apprensione è motivata anche dalla sospensione un anno fa del partito di Orban dal gruppo conservatore nel Parlamento Europeo per le sue azioni contro i media e l’indipendenza del potere giudiziario.
Secondo il gruppo di crisi internazionale, la pandemia rappresenta una sfida per salute pubblica ed economia globale, ma le conseguenze politiche sono sottovalutate, occorre scongiurare il rischio che leader senza scrupoli possano sfruttare la pandemia per esacerbare crisi interne o internazionali.  Oltre l’emergenza sanitaria, tutti hanno qualcosa da dimostrare: Trump di meritare un secondo mandato, l’Europa di essere all’altezza del ruolo che ricopre e le sue democrazie delle aspettative dei propri popoli, la Cina di affermare definitivamente la propria centralità.
Si registrano due spinte contrapposte: da un lato si chiede di ripensare la globalizzazione e dall’altro si moltiplicano spinte nazionaliste.
Con riferimento alla prima, Robert Kaplan del Gruppo Eurasia sostiene che il Coronavirus segna lo spartiacque tra la prima fase della globalizzazione e la seconda, quest’ultima si fonderebbe su nuove e vecchie divisioni globali di tipo economico e sociale con la nascita di autocrazie. Secondo il giornalista Gideon Rachman autore dell’articolo  ”Il nazionalismo è un effetto collaterale del Coronavirus”   la resistenza alla globalizzazione era già invocata sia dalla sinistra ambientalista che insisteva sulla localizzazione che dalla destra xenofoba preoccupata di tenere lontani rifugiati e immigrati ma essendo la pandemia  intrinsecamente un problema globale  richiede una governance internazionale.
Se le sfide globali sono per loro natura condivise, gli Stati dispongono di mezzi differenti per affrontarle, le conseguenze dell’epidemia potrebbero essere molto gravi per i Paesi più poveri e con risorse limitate, per i rifugiati e le zone di guerra che risentono dei danni al commercio internazionale e della disoccupazione legate al rallentamento dell’economia mondiale che avvertirà gli effetti degli ingenti stanziamenti disposti dai governi nazionali nel tentativo di far fronte all’emergenza mentre riappaiono limiti alla circolazione e controlli alle frontiere anche nell’area Schengen.
Si prospettano due scenari principali: alcuni analisti evidenziano gli effetti benefici della pandemia sull’ambiente a causa della chiusura di molte attività economiche e la temporanea sospensione di conflitti civili e rivalità sottolineando interdipendenza globale e l’importanza di approcci condivisi e multilaterali; altri ,tra cui il professore di Relazioni Internazionali dell’Università di Yale, Stephen Walt, sostengono che la pandemia  rafforzerà Stati e nazionalismi accelerando il processo di egemonizzazione dell’Oriente sull’Occidente e portando i cittadini a cercare protezione nei governi nazionali che cercheranno di ridurre future vulnerabilità e che all’indomani della crisi finanziaria del 2008 hanno risposto alle pressanti richieste da parte dei propri cittadini con soluzioni unilaterali.
Aiuti di Stato straordinari a cittadini e imprese suggeriscono che gli Stati recuperano centralità sulla scena internazionale poiché sembrano gli unici attori a poter offrire risorse finanziarie e organizzative di cui sono carenti forum e istituzioni multilaterali e persino le istituzioni dell’UE (che hanno un mero ruolo di coordinamento) poiché ogni singolo stato elabora le proprie modalità di risposta all’emergenza  con le misure che ritiene più opportune tra cui in vari casi il ricorso all’esercito per supportare la gestione dell’emergenza temendo che l’indebolimento della coesione sociale conduca a disordini.
Per il professore della London School of Economics Milanovic, se i governi devono ricorrere a forze militari o paramilitari per sedare disordini, le società potrebbero iniziare a disgregarsi per cui la politica economica dovrebbe mirare a prevenire il disgregamento sociale. Da un’altra prospettiva, la mobilitazione nazionale, specie di volontari, rappresenta uno sviluppo positivo piuttosto che una minaccia alle libertà civili: questo senso rinnovato di condivisione e unità nazionale è un antidoto necessario al nazionalismo regressivo degli ultimi anni che richiede protezionismo, localizzazione delle produzioni e controlli alle frontiere. Il problema è rappresentato dalla possibilità che lo Stato-nazione sfoci in un nazionalismo incontrollato con conseguente crollo nel commercio globale e riduzione della cooperazione internazionale fino al possibile collasso dell’UE e la rottura dei rapporti tra USA e Cina, impegnate ad accusarsi reciprocamente su chi abbia maggiori responsabilità nella vicenda.
Bisogna fare fronte comune e mettere da parte le polemiche evitando la frammentazione e percorrendo la via della cooperazione, riconoscere che gli Stati sono importanti ma non possono vincere la battaglia da soli.
Le misure di lockdown potranno anche non piacere ma finchè non si troverà una cura idonea o trovato un vaccino, l’unico modo per tentare di appiattire la curva dei contagi è il distanziamento sociale. Verrà il tempo in questi giorni saranno un ricordo, quel giorno però non è oggi. Come ha recentemente affermato il Presidente del Consiglio Conte:” Arriverà il tempo di interrogarsi sugli errori commessi e sarà giusto che tutti diano la loro opinione. Ora è il momento dell’azione e della responsabilità, poi verrà il tempo del fare i conti e delle critiche”.

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