martedì 9 luglio 2019

Libia, la polveriera d’Africa



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di Valentina Sechi

La Libia è nuovamente sull’orlo del baratro. Il Paese africano è scontro di una sanguinosa guerra civile che ha fatto oltre 700 morti e la situazione non accenna a migliorare.
Facciamo un passo indietro per comprendere come si sia arrivati a questo punto. Il caos libico affonda le proprie radici nella caduta di Gheddafi avvenuta nel 2011 a cui è seguito l’inizio di un periodo di anarchia legata a divisioni tribali e scontri tra milizie armate.

Le elezioni del 2012 videro il trionfo della National Forces Alliance (NFA), partito liberale. Nel successivo mese di agosto, veniva costituito il General National Congress in sostituzione del Consiglio Nazionale di Transizione guidato dal Primo Ministro al-Thani.
Nel 2014 le milizie islamiche avevano ataccato l’aeroporto di Tripoli controllato da milizie vicine al NFA e a giugno di quell’anno il maresciallo Haftar, capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) lanciò un’operazione militare per contrastare le milizie islamiche che risposero con una controffensiva per bloccare Haftar chiamata Alba Libica.Il Parlamento si stabilì a Tobruk e riconfermò al-Thani Primo Ministro mentre Alba Libica creò, poco dopo, un Parlamento parallelo a Tripoli formato dai dissidenti della Camera dei Rappresentanti di Tobruk chiamato New General National Congress che gode del sostegno di Haftar.
Nel 2016 si è insediato a Tripoli il Governo di Accordo Nazionale guidato dal Premier Serraj e riconosciuto dalle Nazioni Unite per pacificare il Paese, obiettivo ancora ben lontano dall’essere raggiunto.
Ad aprile Haftar ha iniziato un attacco contro la capitale per la conquista della città che sarebbe dovuto concludersi entro breve ma che risulta ancora in corso.
Attualmente, il LNA  controlla l’area Est mentre il GNA l’area Ovest. La situazione sembra volgere a favore del GNA che ha recentemente conquistato Gharyan, roccaforte  di Haftar e fondamentale per entrare nella capitale. Nel momento in cui il maresciallo è debole e le milizie e fazioni tribali mercenarie che lo sostengono appaiono stanche e demotivate, la Comunità Internazionale dovrebbe approfittarne per condurlo al tavolo delle trattative e  per porre fine alla lotta di potere che insanguina il Paese ; molti vedono in lui il principale ostacolo all’unificazione perché non riconosce il governo di Serraj e non ritiene la Libia pronta alla democrazia.
 L’inviato speciale ONU per il conflitto libico Salamè ha avvertito il Consiglio di Sicurezza che se non si ferma l’invio di armi da parte di Turchia, Egitto, Qatar e Paesi del Golfo nonostante l’embargo e non si ottiene un immediato cessate il fuoco, si rischia la divisione del Paese e ulteriore instabilità regionale che avrebbe delle importanti conseguenze a livello globale.
È proprio la portata su scala mondiale del conflitto a imporre una riflessione: il LNA è sostenuto da Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto. Più ambiguo il ruolo degli USA e sopratutto della Francia. I primi non hanno approvato in sede di Consiglio di Sicurezza la risoluzione di condanna al raid su Tajura per via della simpatia di Trump verso il maresciallo, esaltato dal Presidente egiziano al-Sisi come eroe nella lotta al terrorismo durante una telefonata con il Tycoon, nonostante il suo staff non lo veda di buon occhio. La seconda ha avuto incontri con delegazioni di Haftar e ha bloccato una risoluzione ONU per chiedergli di fermare l’offensiva su Tripoli.
Il GNA gode del supporto di NU, UE, Italia,Qatar e Turchia ma trova difficoltà ad affermare il proprio potere non avendo mai raggiunto la stabilità necessaria per governare in modo forte  e sopravvive perché alcune milizie sono contrarie ad Haftar e l’interesse per ragioni politiche di alcuni sostenitori.
Proprio quest’ultimo Paese si trova in un delicato equilibrio con le due fazioni in lotta poiché la Libia è il terzo partner commerciale in Africa della Turchia che è tra i maggiori investitori in Libia. I buoni rapporti tra i due Paesi erano dovuti al fatto che nel 1974,  a seguito dell’embargo imposto dagli USA per l’intervento a Cipro, la Libia fornì ad Ankara i ricambi necessari per i caccia di fabbricazione statunitense, ma sono degenerati quando nel 2014, Haftar ha accusato la Turchia di supportare il terrorismo e le milizie islamiche legate alla Fratellanza Musulmana contro il LNA offrendo loro supporto logistico, finanziario e armamentario e, di contro, questa ha chiesto ai propri cittadini di lasciare l’area est del Paese. Sono stati visti droni turchi in aria e un veicolo turco è stato abbattuto in fase di decollo e si riporta lo sbarco di veicoli blindati provenienti dal Paese.  La tensione era aumentata quando erano stati catturati dalle milizie sei marinai turchi successivamente rilasciati a causa della paventata minaccia di un pesante attacco e Haftar aveva ordinato di prendere di mira le compagnie turche, vietarne i voli e arrestare i cittadini turchi in Libia per via delle interferenze sulla vita del Paese da parte di Ankara.
Oltre alle tensioni internazionali, il Paese sta attraversando una grave crisi umanitaria ed economica. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, almeno 3600 migranti sarebbero detenuti a Tripoli e anche nel resto della Libia molte persone si troverebbero nei centri di detenzione in condizioni indegne per un essere umano, come dimostrano le proteste nel centro di Zintan in cui i migranti sono stati tenuti per mesi tra spazzatura e larve di mosca, spesso privati di acqua, cibo e luce solare come forma di punizione. Secondo quanto riferisce l’avvocato per i diritti umani Giulia Tranchina, i migranti preferiscono morire sotto le bombe piuttosto che andarci. Essi hanno inoltre accusato le agenzie ONU di non rispondere affatto o con troppa lentezza alle loro richieste mentre queste ribattono che le milizie impediscono loro l’accesso, circostanza negata dal colonnello Nakoua che controlla l’area.
Un altro grave fatto di sangue ha riguardato il centro di Tajoura, colpito da un raid aereo in cui sono morte almeno 100 persone su circa 610 migranti. Il governo ha accusato Haftar e le sue milizie ma questi ha negato ogni responsabilità e i suoi uomini avrebbero sparato ai profughi che tentavano la fuga.
Si rende quanto mai necessario portare la gente in salvo poiché la Libia non è un posto sicuro puntando sulla creazione di corridoi umanitari e trovando un accordo sui meccanismi di salvataggio e arrivo prima che l’Europa si ritrovi ad affrontare una situazione a cui è impreparata.
Nei giorni scorsi, proprio in virtù delle condizioni di emergenza, il Presidente Serraj aveva ventilato l’ipotesi di aprire i centri di detenzione che al momento contano circa 8000 persone. Tale scenario potrebbe, tuttavia, influire negativamente sulla sua forza politica poiché i prigionieri accetterebbero qualunque lavoro, anche l’arruolamento tra le milizie di Haftar, pur di avere il denaro necessario per spostarsi via terra o mare e raggiungere così l’Europa passando per l’Italia.
Proprio il nostro Paese gioca un ruolo fondamentale nei fragili equilibri relativi allo Stato africano. Il Premier libico si è recato la scorsa settimana a Milano per incontrare il Ministro dell’Interno Salvini che sta cercando di porsi come figura di riferimento nel processo politico avviato dall’ONU e ha chiesto al Presidente del Consiglio Conte di fare di più per sostenere Tripoli nel consolidamento del ruolo politico del suo governo dopo che l’Italia era stata criticata per una posizione troppo attendentista. Il colloquio ha riguardato la crisi libica e Serraj ha promesso di migliorare le condizioni dei migranti nei centri di detenzione.
 La Libia è stata al centro dell’incontro tra Conte e Putin che ritiene responsabile la NATO del caso libico e pensa che spetti ad essa agire per prima nell’imporre il cessate il fuoco ribadendo che Mosca sostiene entrambe le fazioni. Entrambi convergono sul fatto che l’instabilità potrebbe avere gravi ripercussioni sulla sicurezza delle infrastrutture energetiche.
Alla crisi umanitaria si aggiunge l’emergenza idrica. Interruzioni nella fornitura d’acqua sono comuni dopo 8 anni di semi anarchia in un Paese desertico diviso tra governi e fazioni militari a causa dei danni inferti al sistema di controllo delle acque dalle milizie di Haftar, della contaminazione dell’acqua in bottiglia e dalla situazione precaria degli impianti di desalinizzazione, smantellati per venderne il rame e colpiti dagli uomini delle tribù per farsi sentire dagli ufficiali della capitale e non trattati per la mancanza di fondi.
La Libia era uno degli Stati più ricchi d’Africa, ma la situazione politica ha eroso gli standard di vita sebbene il Paese mantenga redditi sopra la media, grazie al petrolio. Gran parte del bilancio, tuttavia, serve a pagare gruppi armati, un apparato pubblico eccessivo e sovvenzioni per carburanti o è semplicemente rubato. Per migliorare la situazione il governo si è impegnato a combattere la corruzione anche con l’ausilio di riforme economiche parzialmente efficaci. I gruppi armati hanno forzato lo Stato a dare loro o ai propri partner lavori o appalti e il Paese dipende da ONU e altre organizzazioni internazionali per molteplici servizi ed è isolata dopo che il 7 luglio l’aeroporto di Tripoli è stato colpito da Haftar.
La tragedia della Libia dimostra la paralisi di una Comunità Internazionale incapace di un’azione decisiva che richiederebbe una leadership stabile e determinata sostenuta da uno Stato di diritto e istituzioni democratiche capaci di garantire un’esistenza dignitosa e libera senza la necessità di rivolgersi a trafficanti senza scrupoli che per il proprio tornaconto calpestano i più elementari diritti umani e si approfittano della disperazione di chi per scappare è disposto anche a morire.

09/07/2019

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