di Francesca Saieva
Chi si ricorda di Gigetto solo nel mondo? Per chi non lo
conoscesse, Gigetto era un bambino come tutti gli altri, insofferente alle
regole e goloso di dolcetti. Una notte sogna di trovarsi, al risveglio,
nella sua città totalmente deserta. Qui, tutto è a sua disposizione, alcun
rumore e alcuna sveglia che gli ricordi di andare a scuola, non divieti a
caramelle e cioccolati o a doveri da compiere etc.
Ammettetelo! Vi sentite già tutti un po' Gigetti. Be'... quanto durerebbe?
Voglio dire, sappiamo bene che, alla lunga, ci mancherebbero tante di quelle
piccole cose che rendono così poco 'attraente' il nostro quotidiano... eppure!
Se oggi vi sentite social, tanto da leggere questa mia bozza con il dito già
pronto a cliccare su altro sito o chat (nel tentativo di ottimizzare i tempi e
non perdere alcun like), l'idea di poter fare a meno dello sguardo dell'altro
(vedi caso Gigetto) v'intriga ma destabilizza. Insomma, vi crea un'incongruenza
(direi) tutta 'social'. Perché se non chiaro è ciò che si attribuisce al social
e ai suoi derivati, altrettanto poco nitida sembrerebbe la questione dell'(in/a)-social.
Che la linea che demarca la soglia (che tutto separa e tutto unisce) non sia
proprio l'impopolare? In questo caso, la 'diagnosi' sull'essere social o no e
le sue presunte complicazioni sarebbero ancor più gravi. Tanto da far sì che i
fedeli della visibile socializzazione non varchino la soglia e non si spingano
oltre tale linea. Stretti in una morsa, un po' tutti uguali, affetti da
sindrome di 'stipamento'. Preciso che la sindrome da stipamento genera
curiosità (nelle sue stesse vittime) e inevitabili domande: c'è dell'altro? gli
altri? chi sono? che fanno? si tratta dunque di un'altra pluralità? Già... la
pluralità 'singolare' dell'insocievolmente socievole che, da un
capo all'altro, attraversa la soglia, ignara, da sempre, di come l'impopolare
possa essere un problema considerevole. La sottile linea che riconosce il
diverso da cosa e l'identico a cosa, laddove l'in/a-social (coerente
al Sé) intrattiene il gruppo-identitario, impegnato a evitare/fare sgambetti da
stipamento e a eludere la sconveniente differenza.
Due vie, un bivio: l'attenzione come 'misura' della 'vista' o la misurazione
della attenzione dell'altro. Dove collocare la sindrome?
Di boschi di betulle ce ne sono tanti, tanti quanti se ne
attraversano nella storia della vita, ma... chi osserva un albero nel bosco?
Interessante, come sempre. Chi sa perchè Gigetto mi fa pensare a qualcuno in alto in questo periodo...
RispondiEliminaIl singolo, portatore di alterità, vive, nell'era della fungibilità totale del dominio capitalistico sul mondo, la sua perdita. Osservare un albero nel bosco indistinto richiederebbe destrutturare le condizioni della stessa esperienza conoscitiva così come data storicamente oggi, distaccarsi dal fluire del socialmente indotto, sottrarsi alla sua velocità di consunzione: esercizio supremo di cognizione che aprirebbe forse un varco montaliano... equazione tra potenzialità del sé, dei sé, e senso profondo dell'esistenza.
RispondiEliminaPer ogni 'paradigma un'anomalia', per ogni dimensione indotta una parola inducente. Perché l'atto del decostruire, come sguardo del 'paziente albero' sull'indistinto bosco, è già "ingresso della libertà nella storia". Illusorio progetto (ancora una volta) verso l'inarrestabile corsa del tempo? Seppur disabituati alla 'lentezza', tipica di ogni attenzione, ci muoviamo tra piccole cose. E "ciò che è posto davanti" richiede allo sguardo (in termini di possibilità) il superamento dei "fatti dati". Che sia la "scelta determinante" il possibile, unico ponte Io-Altro? Il 'socialmente indotto' della "società bloccata" dovrà/potrà accettare il Forse?
Eliminagrazie per l'attenzione
francesca saieva
Hello mate, great blog
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