martedì 10 ottobre 2017

L’ISIS 2.0 Tra nuove strategie e propaganda social


dI Valentina Sechi

Il recente attacco rivendicato dall’Isis a Marsiglia, in cui sono morte due donne, può costituire un buon punto di partenza per una riflessione sulla trasformazione delle strategie adottate dall’organizzazione.

A differenza del passato, gli attentatori non si fanno saltare in aria con l’esplosivo ma, generalmente, attaccano luoghi simbolici e affollati brandendo armi da fuoco o bianche e spesso vengono utilizzati veicoli alla stregua di bombe. Dietro questo cambiamento si cela un messaggio rivolto ai combattenti incitati ad attaccare il nemico occidentale a casa propria, infliggendo loro tutto il male possibile come enunciato dal leader di Al Qaeda Al Suri nella teoria delle mille ferite secondo cui sono necessarie azioni decentralizzate individuali o da parte di piccole cellule per piegare la volontà di combattere del nemico.
L’aspetto che sicuramente desta più preoccupazione è tuttavia la capacità di sfruttare le motivazioni che possono indurre un individuo a commettere un attentato di qualsiasi natura esse siano (fanatismo, ideologia, odio o altro ancora) dando a una ragione di vita e di morte. Nonostante la perdita di territori infatti l’Is non mira a mantenere e gestire un territorio fisico, le aspirazioni ideologiche sono molto più importanti, l’obiettivo non è l’instaurazione di un governo jihadista ma attacchi sistematici contro l’Occidente caratterizzati dalla trasformazione, già in atto, di lupi solitari in forza insurrezionale clandestina meno centralizzata in cui le piccole cellule opereranno con grande autonomia.
Ai fini del disegno generale assume particolare rilievo la strategia comunicativa posta in essere dall’Isis: da un lato la formazione dei combattenti destinati agli attacchi contro l’Occidente, dall’altro, la propaganda di radicalizzazione che si rivolge in particolare a immigrati di II e III generazione che sperimentano segregazione sociale, disperazione, rabbia, insuccessi, vita di strada e carcere.
Attraverso social network e altri strumenti di propaganda, l’Isis ha iniziato a diffondere veri e propri manuali di istruzioni in cui si spiega come noleggiare camion per travolgere cittadini inermi, dove, quando e come colpire, come usare oggetti facilmente reperibili per causare stragi; a titolo meramente esemplificativo si può citare “ Le regole di sicurezza del musulmano” in cui viene spiegato come evitare le intercettazioni telefoniche e comunicare in sicurezza. Video e contributi rilasciati sulla rete amplificano il messaggio che così raggiunge gli aspiranti foreign fighters, giovani alla ricerca di una causa per cui immolarsi e su cui la crudezza delle immagini inneggianti al jihad esercita un fascino irresistibile come mezzo per combattere le ingiustizie perpetrate dall’Occidente. Virilità e coinvolgimento diventano la chiave per un’azione incisiva ed efficace nel reclutamento di nuovi combattenti.
La lotta ai foreign fighters rappresenta un elemento cruciale che appare tuttavia sottovalutato. Il coordinatore anti terrorismo UE De Kerchoeve ha asserito di fronte al Parlamento Europeo che non è possibile incarcerare i combattenti che tornano in Europa ma che vadano piuttosto reintegrati a meno che non vengano trovate prove concrete.
E l’Italia? Dove si colloca nel complicato scenario delineato?  Il nostro Paese non è stato attaccato nonostante non siano mancate le minacce nei confronti della Capitale e del Vaticano per aver partecipato a varie operazioni militari contro il regime. Le ragioni sono molteplici. Doverosa premessa è che l’Italia ha funzionato da base logistica per vari movimenti radicali islamici ed è considerata un centro operativo irrinunciabile in cui è facile procurarsi armi, alloggi e documenti infiltrando uomini tra i migranti che ogni giorno raggiungono le nostre coste. In primo luogo, il background di prevenzione affinato durante la lotta al terrorismo negli anni di piombo e fondato sugli strumenti sviluppati nel contrasto alla criminalità organizzata che ha insegnato l’importanza del dialogo tra servizi segreti e forze dell’ordine. In secondo luogo, il numero di simpatizzanti è ridotto così come quello degli immigrati di II e III generazione (che presentano maggiori rischi di radicalizzazione in quanto hanno perso il legame con la terra di origine e non sono ancora pienamente integrati nella società occidentale). In terzo luogo, la predominanza di città medie e piccole rende più agevoli i controlli rispetto a luoghi come le banlieu francesi. Un quarto elemento è dato dal sistema legale che consente di trattenere i sospetti e porli in carcerazione preventiva nonostante sia risaputo che la prigione costituisce un territorio privilegiato per il reclutamento e la creazione di reti. E’ altresì possibile espellere i non cittadini sulla base di semplici indizi di colpevolezza poiché sufficienti ad autorizzare intercettazioni telefoniche per cui si pone il problema di contemperare sicurezza e libertà con un occhio al trattamento riservato nelle carceri. Secondo il PM A. Spataro è importante che l’antiterrorismo non mini i principi legali alla base della democrazia considerando le conseguenze a medio-lungo termine a cui un approccio così duro potrebbe portare. Un ultimo ma non meno interessante elemento riguarda il rapporto tra Isis e criminalità organizzata: i terroristi farebbero affari con quest’ultima legati alla compravendita di armi e documenti falsi. I criminali locali tuttavia fornirebbero informazioni alle forze dell’ordine perché non vogliono il proprio territorio invaso da migliaia di immigrati. Ruolo di primo piano è svolto dal Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo che condivide informazioni di intelligence con gli altri attori europei. E’ presente, inoltre, una dimensione religiosa nell’antiterrorismo italiano poiché il Papa è una figura ancora importante e la comunità ebraica vigila sui musulmani radicali.
A causa della perdita di pozzi di petrolio per via di raid o riconquista da parte delle forze irachene e siriane, in vista della perdita dei territori, l’Isis trasferisce fondi all’estero per sovvenzionare i suoi membri mediante flussi migratori, money transfer e Internet.  Altri metodi per recuperare denaro sono l’imposizione dell’uso della valuta del califfato (dinaro), l’aumento del prezzo dei pezzi archeologici, l’inserimento nei traffici di eroina dall’Afghanistan, la tassa zakat e la vendita di prodotti agricoli.
Una strategia militare basata su tunnel, veicoli che simulano quelli militari per confondere il nemico convogliandone tempo ed energia su falsi obiettivi, uso limitato di droni e armi chimiche. Nel tempo i terroristi hanno imparato a sfruttare le tattiche più sfuggenti, semplici ed economiche per far fronte alla superiorità militare e numerica dell’avversario e colpirlo fuori dal campo di battaglia che, nella sua accezione più comune, perde gran parte del suo significato.
Si è pervenuti ad una strategia flessibile in grado di adattarsi alle condizioni tattiche delle aree in cui si opera, all’uso del terrorismo come strumento per la realizzazione di uno scopo politico, legato con un fenomeno più ampio di un’insurrezione jihadista. Si punta a investimenti ridotti per risultati pratici o mediatici notevoli come i veicoli bomba rubati e modificati con materiale di recupero, versione economica dei ben più costosi Tomahawk americani (dal costo di oltre 600.000 dollari). Le tattiche militari come attacchi suicidi e stragi di massa, spesso in luoghi scarsamente controllati, sono facili da portare a termine e non richiedono particolari accorgimenti.
Un’ultima considerazione: il terrorismo va posto in relazione al progetto politico di sovversione dell’ordine regionale di alcune aree del Mediterraneo per radicarsi sul territorio con forme di conflitto più sfumate e ibride connesse a fenomeni bellici di lunga durata. In un mondo in continuo cambiamento, anche l’Isis muta forma per adattarsi a ciò che la circonda, cercando di soffocare il mondo in una cappa di paura e sospetto, quello che però non deve mutare è la volontà dei governi di collaborare e comprendere i mutamenti per tentare di prevenire e argine un fenomeno dai contorni sempre più sfuggenti.


  



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