(foto di Graciela Muller Pozzebon)
Lontano, c’è una finestra.
E’ una finestra che non s’affaccia da
nessuna parte.
Qualcuno l’ha riempita di fiori,
puntualmente
ogni giorno un fiore diverso.
I fiori parlano di cose
che le parole non sanno dire.
Ce ne sono tanti,
tutti nuovi
perché palpiti ogni volta nuovi
li hanno fatti germogliare:
il desiderio che arrossisce nei
petali della primula
l’amore che contempla il sonno
nel calice del dorato narciso
la carezza notturna che avvolge il
violaceo giaggiolo.
Un tempo nel davanzale l’indifferenza
faceva sibilare il soffio incoerente
del vento
ora, si affollano petali.
Guardali sbocciare all’istante,
passeggeri nell’aria
con loro si apre la bellezza di
ignote contrade.
Se non li guardi adesso
con un leggero si delle ciglia
avvizziscono e patiscono
incolori nella terra.
Sono brevi i fiori
ma alla gioia lasciano il tempo d’un
battito d’ali,
a te solo il tempo di ascoltare sussurrate
parole
che s’aprono come corolle
nel mattino dei tuoi giorni;
il tempo di carpire il profumo di ciò
che è vero.
C’è proprio il tempo di far risuonare
le stanze
di un grido felice,
il tempo di guardare con sollievo
dove termina l’ombra,
il tempo di farsi accarezzare dal
gioco mutevole
della tenerezza,
il tempo per abbracciare un cielo
ferito
per sostenere un nido predato,
il tempo per cullare la tristezza
di bianche giornate tutte uguali.
Poco durano i fiori
Sbocciare,
esporsi allo sguardo straniero
che si versa tiepido sulla timidezza
dei refoli di vento
sui fili di capelli
mai da nessuno contati.
L’uomo dei fiori
è forse un muto giardiniere
che non sente l’affanno
degli attimi mancati, delle attese
che si fanno agonie
e danza tra i teneri steli
senza calpestarli.
Palermo,
06/03/2017
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