Ricordo poco
della mia infanzia. Se penso a quando ero piccolo, chiudo gli occhi e vedo una
enorme massa pelo bianco, bocche voraci che succhiano, sminuzzano, ingurgitano
ingorde e io che cerco di farmi largo, nella speranza di riuscire ad agguantare
qualcosa che faccia smettere al mio stomaco di brontolare. Morsi e spintoni.
Un dolore sordo alla zampa dietro. Fame. Ma i
fratelli non dovrebbero esserci di aiuto nei momenti di difficoltà? Non vedono
che non riesco a mangiare perché ho la zampina storta, il che mi rende meno
veloce, che squittisco per la fame, che vorrei che qualcuno mi portasse un
boccone di cibo, che mi accarezzasse dicendo ‘’non ti preoccupare, penso io a
te”? Niente. Non voglio neppure parlare degli umani che ogni tanto entravano
nella stanza dove c’era la mia famiglia. Sembrava volessero solamente
soppesarci per vedere se potevamo essere trasferiti. Allora non capivo bene
cosa volesse dire, ma qualche giorno dopo mi fu chiaro. Mi tirarono su e senza
tanti complimenti mi misero in una scatolina con un buco in alto. Rumori mai
sentiti prima, sensazione di straniamento, paura del futuro. Guardavo con gli
occhi sbarrati l’apertura della scatola. Se mi avevano messo li dentro
attraverso quel buco, mi avrebbero anche ripreso per di là, no? O mi avrebbero
lasciato a vita lì, in una scatola nella quale non riuscivo neppure a stare
disteso? E come avrei fatto per mangiare? Scoprii a breve che la mia
destinazione era un posto del tutto simile a quello dal quale provenivo.Non
capivo…. sopra e sotto di me altre gabbiette simili alla mia, con altri
esserini strani… due orecchie, baffi, denti sporgenti…..almeno qui avrei avuto
da mangiare e, quello che più conta, tutto il tempo per potermi avvicinare al
cibo, senza che nessuno me lo sgraffignasse da sotto il naso. Un giorno, due
giorni. Non stavo bene. La sbobba sapeva di muffa, la luce accesa tutto il
giorno mi dava fastidio, non riuscivo a dormire, ma osservando il mio vicino
del piano di sopra, vidi che lui dormiva accoccolandosi sui talloni e mettendo
il mento sul petto. Ci provai. Funzionava.
Divenni triste. Se era quello il futuro tanto
agognato, era meglio andare sul ponte arcobaleno e farla finita.
Un pomeriggio arrivaste voi. Il papà (strano,ma
dentro di me appena lo vidi lo chiamai cosi) mi additò. Qualcuno mi prese e mi
mise in mano alla mamma. Mi dissi che mi conveniva stare buono, non muovermi,
meno che meno mordere. Nascosi con grazia la zampina difettosa, assumendo una
posa plastica. Forse avrebbero pensato che ero una bella cosa da portare a
casa. Decise il papà di prendermi e io gli diedi due belle leccatine di
ringraziamento che lo deliziarono.
Gabbia enorme, tanto cibo, tante coccole, ma anche tanta tristezza. Capii che poco prima avevate perduto un esserino come me, e che io addirittura le assomigliavo. Forse ero stato scelto proprio per questo. Cominciaste a parlottare tra voi cercando di capire se ero maschio o femmina. Io ero triste perche sapevo di essere maschio e capivo che avreste voluto che fossi femmina. Fare un poco il lezioso non serviva granchè. Avevate nostalgia di lei e forse non sapevate che farvene di un topino zoppo.
Cominciarono le estenuanti sedute ginecologiche per
vedere di che sesso fossi. Foto fatte col cellulare e con la macchina
fotografica alle mie grazie nascoste, da studiare poi con calma per capire se
la differenza tra i miei due buchini, unico indizio che determina il sesso, era
più o meno ampia. Io non mi ribellavo anche se mi pareva che si sarebbe dovuto
chiedere il mio parere prima di fotografarmi il didietro. Il nome Trilly che mi
avevate affibbiato mi piaceva come suono, ma mi sembrava non fosse del tutto
adatto alla mia personalità. Sapendo che era il nome della topina che avevate
appena perso, però, mi sentii lusingato. Poteva esserci in voi la speranza, non
del tutto infondata, che io avrei preso nel vostro cuore un posto uguale a
quello che aveva lei, per cui non protestai e ogni volta che mi sentivo
apostrofare con quel nome rispondevo prontamente.
Qualche settimana dopo finalmente il mio onore fu
ripristinato. Venni portato prima in un negozio di animali e successivamente
dal veterinario ed entrambi i pareri furono concordi. Ero un maschio. Mi
dispiacque vedervi leggermente delusi e non capivo perché: in fondo io non
avevo avuto nessuna influenza nella costruzione di me stesso, ma decisi che la
cosa migliore era continuare ad essere disponibile ed accattivante. Cosa
peraltro non difficile, visto che vi volevo già un gran bene.
Cominciaste a chiamarmi con tanti nomi per vedere
quello che mi calzava meglio. ‘Gustavo’, ‘Ugo’, ‘Pippo’, ’Jack’, ‘Micky’,
‘Gianni’ e tanti altri li accolsi con malcelata sufficienza. Quando sentiii la
mamma chiamarmi ‘Piero’, trotterellai verso di lei e le regalai una leccatina
sul dito indice. Era fatta. Scelta, accettazione e battesimo, tutti in una
volta.
Cominciò la nostra vita assieme: dopo tanti anni
finalmente la mamma era in minoranza, ma la cosa non sembrava
dispiacerle.
Tra poco sarà un anno che sono con voi. Voglio
dirvi che è stato meraviglioso. Ho gustato appieno ogni minuto passato assieme,
tutte le coccole, i bacini, le carezze, le docce di sabbia, le grattatine, gli
assaggi di cibi nuovo e deliziosi, le scorribande sul divano, i giretti in
corridoio. Le mie giornate sono molto piene: aspetto con ansia il mattino,
quando so che il papà mi prepara la mela grattugiata e mette la testa in gabbia
per ricevere il bacino di buona giornata. Ha le guance che pizzicano e mi piace
tanto. Poi lui e la mamma se ne vanno e io mi dedico alle incombenze
domestiche: rassetto un po’ rimetto in ordine le cambuse che ho in gabbia
(semini vari messi di scorta perché nella vita non si sa mai cosa può
succedere), mi spiumaccio i pezzetti di pile, preparo il sacco a pelo, do una
giratina alla ruota, mi trascino la ciotola piccola del cibo davanti al letto,
mi gratto un pochetto e dopo vado nel sacco a pelo con la mia carota di
pelouche che mi tiene compagnia.
Quando il sole tramonta sento la chiave nella toppa
e rizzo le orecchie: siete voi…. bello!!!! Mi si arruffa il pelo dal desiderio
di coccole e mi viene l’acquolina pensando a quello che assaggerò. Non appena
vi sento avvicinare, abbasso la testa per farmi prendere per la collottola e mi
tuffo tra le vostre mani. Proprio ieri ho fatto andare in solluchero il
papà perché ho fatto due saltelli da paperotto per riuscire a raggiungere il
suo naso e dargli un bacino.
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