by
Pippo Zimmardi
*
Si identificava
con i disperati che fanno perdere le loro tracce o che si rendono autori di
atti inenarrabili. Di fatto scomparve dai banchi di scuola per ricomparire in
edicola nella copertina patinata di una rivista.
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Compare
dal fondo scuro della strada. Sottile con un vestito chiaro a mezze maniche.
Quando gli passa vicino, appena illuminata dal fanale, nota le scarpe da tennis
e i calzini bianchi. Lei lo guarda stupita come per dirgli:
-
Ma come, sei in moto? –
Lo
supera e si dirige sicura verso una macchina che, appena in sosta, lampeggia.
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Nel
bar di via Belmonte arrivano le voci ritmate di un corteo. Una signora che mi
sta accanto commenta con la cassiera. A suo avviso gli studenti non avrebbero
alcun motivo di protestare se non quello di perdere giorni di scuola. Non
vogliono studiare e oltretutto non si capisce niente di quello che vogliono.
Gridano. Sto per intervenire ma mi trattengo. Cerco di capire le parole dei
manifestanti. Effettivamente non riesco ad intendere nulla se non la parola
leader. Esco fuori e mi avvicino. Tre colonne colorate di Tamil avanzano
ordinate. Chiedono il riconoscimento dell’autonomia della loro regione da parte
del governo italiano. Le loro
rivendicazioni fanno riferimento alle nostre guerre di indipendenza. Nei
cartelli, tra le bandiere gialle e rosse, l’effige di un signore baffuto che in
maniche di camicia sorride chissà da
dove. E’ il loro capo. Bambini e donne in prima fila accennano a passi di
danza, ai lati giovani con la videocamera garantiscono la documentazione. Altri
ragazzi distribuiscono volantini. Sul marciapiede due di ragazze indigene
scimmiottano ridendo i movimenti dei ballerini. Due signori in vestito blu e
cravatta rallentano il loro passo, si fermano e guardano incuriositi. Cercano
di coordinarsi all’evento sbirciando nei volantini dei vicini. Uno dei due dice
all’altro: ma dov’è con precisione lo Sri Lanka?
*
Michele aveva un amico
non vedente che lo seguiva per conferenze, cene e salotti. Andavano spesso
anche al cinema. All’uscita l’amico si divertiva a commentare i film. Per lui,
a causa dei medesimi doppiatori, era sempre un solo film in più parti e con
frequenti scambi di ruoli. Michele girò un piccolo film 16mm con il suo amico.
Lo mise ad un semaforo di una strada trafficata a brandire un pugnale di
plastica in mezzo alla folla che attraversava col verde, stranita.
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Si fece condurre dal
suo amico alla stazione per segnare gli orari dei treni che l'indomani
l'avrebbero potuto portare in città. Tra una informazione e l'altra decise
tuttavia di prendere a volo l'ultimo treno disponibile in serata. L'ex moglie
del suo amico accogliendolo nella sua villa si era presentata vestita da
sacerdotessa druidica. Avrebbero dovuto
trascorrere insieme la vigilia di natale e, su proposta dell’amico e della sua
ex, un numero imprecisato di giorni successivi. Non era stato avvisato, non
aveva pigiama, cambio e spazzolino, ne' voglia di suonare il violino per loro.
Prima di mezzanotte fu in città, a casa sua.
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Dopo
avere accompagnato la madre in un pub
del centro ad intervistare il cantautore
del momento, Il figlio di otto anni, di
ritorno a casa, le disse:
- Mamma mi piace quando mi porti nei
bassifondi della citta –
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- esistono baci brutti?
Alice,
otto anni:
- si, i baci finti.
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Al
centro della landa desolata una baracca la cui porta malconcia esibisce il
cartello: sexy shop
*
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Perché i posacenere
erano svuotati, i piatti puliti e i letti rifatti e allora lui capì della
visita.
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Sposini, ventiquattro
ore insonni da un aeroporto all’altro, mamme, papà ed amici li attendono dal
viaggio di nozze, la Giamaica è il ricordo gradevole dei loro discorsi, lui non
ha più la fede al dito, lei sì, ma seguirà la scelta del consorte all’arrivo, a
casa e ne parlano.
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Sull’aliscafo
apro a caso Deleuse e trovo il commento a Stromboli di Rossellini. Scorro, leggo
l’indice di immagine tempo: un capitolo su Nietzsche e Welles, ci do una
occhiata. Welles e il falso: verità e apparenza azzerate nella dinamica delle
forze.
Nell’aprile
1882 Nietzsche è a Messina. Scrive una cartolina entusiasta dei luoghi. Riparte
tuttavia per Roma qualche giorno dopo. A colpa dello scirocco reale e
metaforico, si giustifica.
Nietzsche
è passato per Stromboli?
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Binocolo.
Dopo avere osservato i loro movimenti, le pause, i tuffi bassi di testa delle
signorine e quelli alti a carota dei signori, le nuotate, le salite e le
discese in barca, le remate, i ritorni. Dopo avere contato i passi di danza e i
nuovi ospiti, seguito i camerieri, apprezzato le altezze, baciamani, i due
pezzi, gli asciugamani e le cuffie colorate. Ora che sono tutti sul ponte,
seduti alla stessa tavola, che sorseggiano, considerata l’ora, l’aperitivo e
senza cura pizzicano patatine, noccioline e grasse olive, ora credo di sentire
le loro voci e le loro risate. Un flash è poco più di uno sputo alla luna medio
alta all’orizzonte, rossa come nella canzone.
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Baruchello
a proposito della moglie Lydie di Duchamp: Lei credeva nella rincarnazione lui
(Duchamp) l'unica cosa in cui si sarebbe reincarnato era una scacchiera.
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La
padrona di casa gli indica un oggetto e lui le dice che è di un pantografo per
subito correggersi del lapsus, è un metronomo. Lei gli spiega che si tratta di
un metronomo particolare che si mette a scandire il tempo nei momenti meno
prevedibili e opportuni, notte o giorno, per conto suo, senza nessuna
spiegazione.
Lui
prende in mano lo strumento gli da la corda, toglie il tassello di carta ripiegata che blocca la
lancetta e il metronomo si mette a scandire il tempo mentre a lui viene la
voglia di svolgere il tassello di carta che gli è rimasto in mano, così tanto
per curiosità. E una volta ben dispiegato
legge: istruzioni per l’uso del pantografo.
*
Un ragazzo e una
ragazza si baciano nell'attesa della metropolitana in una lunga apnea che sembra
continuare nei baci di un'altra coppia all'interno del vagone in corsa. Alla
prima fermata lui scende e lei lo saluta a gesti oltre lo scivolare della
bussola, dal finestrino e nella fuga delle luci in partenza. Mimano con gioia il loro segno d’intesa. Quando il convoglio
prende velocità lei si siede. Abbandona la testa sullo schienale del sedile. Nel
suo viso né tristezza né gioia. Si è spenta. Tira fuori il cellulare. Intorno
al display sono attorcigliati una quantità spropositata di elastici. Ci gioca.
*
Lei sale sul vagone
della metropolitana. Ha le guance colorite, il mento a punta, capelli neri
appena sul collo, occhi e bocca furbi. Veste pantaloni e camicetta bianca con
sopra uno spolverino scuro mezza gamba a doppio petto. È carina e, a suo modo,
elegante. Si siede nel primo posto libero che trova. Capita accanto ad un
ragazzo. Di fronte ha una donna di mezza età e un'altra ragazza più giovane. I
portelli si chiudono e il treno riparte. La ragazza apre la sua borsa colore
tela grezza, tira fuori uno specchietto. Lo porta all'altezza degli occhi,
della bocca… Per piccole smorfie controlla le sbavature del rossetto. Con
rapidi movimenti della mano si sistema i capelli e conclude rinnovando le pieghe del suo spolverino.
Forse andrà a teatro o al cinema o ad una cena importante o ad una
inaugurazione o ad un appuntamento. Ripone lo specchietto nella borsa, indugia
a cercare e controllare qualcosa nel suo fondo. Nessuno sembra badare ai suoi
gesti. Il treno si è già fermato una volta e poi un'altra. Gente sale e scende.
La corsa riprende accelerando nel suo sibilo abituale. Qualcuno legge, altri
fissano lo sguardo in una rassegnata sospensione che si spezza quando la
signora di fronte alla ragazza, fulminea e gridando inizia a schiaffeggiarla. Le
sventaglia scapaccioni sul viso, sulle spalle, sul petto. Impreca, in tono
crescente, qualcosa che sembra un rimprovero o una rampogna astiosa. Dopo un
primo attimo di stupore, la ragazza para i colpi, si scansa e guarda con uno
sguardo interrogativo i passeggeri intorno che non intervengono. Quando la
signora sembra essersi sfogata si ricompone, in un piglio di soddisfatta
severità. La ragazza, controlla veloce il fondo della sua borsa e alla prima
fermata scende. La signora vestita da un ampio abito estivo dai colori vivaci,
casalinga anni '60, tira fuori dalla sua borsa
carta e penna e inizia a scrivere. Veloce senza interruzioni, fluida e senza essere disturbata dai movimenti
del treno velocissimo. Il foglio di carta dove scrive sembra non esaurirsi mai.
Potrebbe essere l'inizio di un film.
*
Il
suo mestiere era quello di scrivere i libri per gli altri. Biografie, raramente
saggi, spesso tesi, mai romanzi. Una volta un cliente gli chiese il racconto
avventuroso delle sue peripezie da reduce.
Di
solito ascoltava seduto in salotto o nel tinello con un piccolo registratore
acceso. Faceva qualche domanda. Guardava le foto delle persone e dei luoghi che
gli mostravano. Prendeva poche note. Quella volta il cliente:
- voglio che lei vada di persona in quei
posti. Voglio che si renda conto -
Non
andò da nessuna parte. Fu irreperibile per un paio di settimane. Disse poi che
tutto ormai era cambiato mostrando fotografie di un centro commerciale.
Splendido pezzo
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