Cieco, contemplo il deserto cimitero delle ombre. Vuoto, anelo i tenui sospiri dell'angoscia. Morto, recido la memoria della speranza: il lieve passo accompagna la marcia funebre del mio feretro.
Oscuratevi occhi della coscienza: il buio delle lacrime avvolga la vostra orrida luce. Taci cuore di salvezza: eterno silenzio risuoni fra i gorghi dello spirito. Vaga tiranno della psiche nell'inferno della morte: vane riposino le marionette delle tue fragili trame.
Rimiro, colpevole, il remoto piacere del dolore: "Piacere di apparire pupo e puparo insieme in una delle tante Opere dei Pupi dell'odiosamabile vita" (Gesualdo Bufalino, Argo il cieco).
Risplendi tuttavia, mia primavera, dei tuoi eterei risvegli. Quale esile tepore carezza il dormiveglia della mia anima! Illumina, placida luna, la nera notte con il tuo pallido volto. Quale lieta tempesta di lacrime affanna l'inerte respiro del mio spirito! Abbraccia, tenera eco di silenzio, i solenni deliri della follia con la tua calma pace. Quale armonioso canto cura le piaghe del mio flagellante dolore!
Così, io, infelice uomo, combatto nel teatro dei sogni i misteri della mia fugace identità, pregando, seppur morto, l'adorata, sublime vita: "Gocciola di miele, non cadere. Minuto d'oro, non te ne andare" (Gesualdo Bufalino, Argo il cieco).