martedì 11 dicembre 2018

USA-Cina: verso la distensione o la guerra commerciale?


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di Valentina Sechi

Ragionare sul rapporto che lega Cina e USA significa immergersi in una storia costellata di crisi e distensioni i cui protagonisti appaiono irrimediabilmente agli antipodi: baluardo della libertà sensu lato, della democrazia e del capitalismo il primo, conservatore, autoritario e comunista l’altro.
Per cercare di spiegare lo stato dell’arte della loro relazione sono necessarie considerazioni di tipo economico, geografico e soprattutto politico alla luce del cambio di rotta rappresentato dal Presidente americano Trump rispetto ai suoi predecessori.

Geograficamente, la Cina è circondata da alleati statunitensi e piccoli arcipelaghi che la Marina statunitense potrebbe usare per chiudere Pechino in caso di conflitto militare. Di rilievo è anche la Corea del Nord che preoccupa Washington e potrebbe cooperare con la Cina che ne ricaverebbe concessioni di qualche tipo.  La cosa migliore che la Cina potrebbe fare è destabilizzare gli alleati Usa incrementando se possibile, la propria influenza. Essa sta inoltre modificando i rapporti con Paesi come le Filippine e il Myanmar ma il successo è limitato dalla mancanza di potere militare nella regione poiché l’America ha, a differenza della sua rivale, amici come India, e Giappone.  Delicata è anche la questione del Mar Cinese meridionale in cui nel 1947 il governo cinese ha tracciato una linea di demarcazione fittizia, la cosiddetta nine dash line (situata in un’area caratterizzata dal ruolo cruciale per il controllo delle rotte commerciali, la presenza di idrocarburi e di una florida fauna acquatica), che è stata dichiarata illegittima dalla Corte di arbitrato dell’Aja poiché non sussiste base giuridico legale a tali rivendicazioni e pertanto gli Usa formalmente non riconosco le pretese dei Paesi rivieraschi nelle zone economiche esclusive adiacenti le isole in questione, mantenendo un profilo di neutralità.
 A prima vista, le relazioni commerciali tra i due Paesi sono tra le più forti al mondo ma mentre i commerci aumentano e le economie diventano più complesse, ci sono dei nodi da sciogliere come le limitazioni imposte da Pechino alla competizione nei confronti delle aziende americane. Questa asimmetria si accompagna al sorgere del nazionalismo in Cina e del populismo economico negli Stati Uniti.
 L’aumento del deficit è legato all’aumento della capacità d’acquisto del Paese e quindi alla crescita economica mentre aumenta lo squilibrio commerciale che Trump vuole ridurre con una politica commerciale aggressiva basata su dazi che avrebbero dovuto portare Pechino ad accogliere richieste per l’apertura completa del mercato interno ma a cui la Cina ha reagito con dazi sulle importazioni statunitensi e riduzione di quelli di Paesi concorrenti degli USA. Uno degli elementi positivi è il commercio al dettaglio infatti le esportazioni di beni di consumo sono in aumento e in Cina cresce tale segmento con riguardo al commercio internazionale poiché non sono richieste procedure di etichettatura e regolamenti costosi in virtù della liberalizzazione del settore.
Nel 2011 l’allora Segretario di Stato Clinton aveva annunciato il Pivot to Asia, un piano di rafforzamento, entro il 2020, della presenza economica, militare e diplomatica mediante la creazione di accordi di libero scambio con i partner storici nell’area e la normalizzazione con nuovi alleati. Il riorientamento verso l’asse asiatico necessario per destabilizzare il Medio Oriente dopo la ritirata da Afghanistan e Iraq si è realizzato solo in parte a causa delle primavere arabe e della crisi ucraina. Il piano dell’amministrazione Obama prevedeva anche la creazione della Partnership trans-pacifica, un patto commerciale che avrebbe dovuto rappresentare un contrappeso all’egemonia cinese che ha contrattaccato con la Regional Comprehensive Economic Partnership, un progetto di trattato di libero scambio. Trump ha ritirato il Paese dagli accordi preferendo intavolare negoziati bilaterali con i Paesi membri e dopo aver isolato la rivale fare espressioni per spingerlo a liberalizzare l’economia.
Già a gennaio 2018 il Tycoon pone dazi su pannelli solari e lavatrici importati dalla Cina per un valore di oltre 3,5 miliardi di dollari, due mesi dopo è la volta di acciaio e alluminio, a ciò la Cina replica con tariffe su tre miliardi di dollari su beni importati dagli Usa così, in Aprile, delegazioni dei due Paesi si sono incontrate per scongiurare una guerra commerciale sebbene l’incontro si sia concluso con un nulla di fatto.  A giugno nuovi dazi vengono approvati dal Presidente per 50 miliardi di dollari a cui la Cina risponde con dazi per un pari importo sui beni americani. Appena due mesi dopo, viene avviata un’indagine su possibili violazioni di proprietà intellettuale e tecnologia da parte di Pechino con particolare riguardo ai prodotti tecnologici su cui Trump annuncia dazi del 25% per 16 miliardi per porre pressioni sul programma Made in China 2025, iniziativa governativa per trasformare il paese nel più avanzato al mondo in campo tecnologico. Di nuovo l’avversario impone a sua volta dazi, specie sulla soia, per danneggiare gli Stati agricoli che hanno votato per Trump.
Il 4 ottobre, il vice Presidente Usa Mike Pence espone di fatto una dichiarazione di guerra fredda condannando la repressione interna e la sorveglianza di Stato in Cina, la pressione sulle università americane minacciando di negare visti ai ricercatori, le intimidazioni a Taiwan. Nello stesso mese, il funzionario dell’intelligence Xu Yanjun viene estradato in America per il furto di segreti commerciali ed è la prima volta che un cittadino cinese viene estradato con tale accusa.
In occasione del G20 tenutosi a Buenos Aires in dicembre, Trump e il Presidente cinese Xi Jinping sono giunti al congelamento dei dazi per tre mesi in modo da mantenerli al 10% rispetto al 25 inizialmente previsto a partire da gennaio 2019 e in cambio la Cina acquisterà una grande quantità di prodotti agricoli, energetici e industriali per ridurre lo squilibrio commerciale tra i due. In caso di mancato accordo le tariffe subiranno gli amenti previsti. Tale tregua mostra la volontà di un dialogo costruttivo per risolvere i problemi in ambito commerciale, dato che le relazioni dei due Presidenti sul piano personale sono ottime.
Negli stessi giorni veniva reso noto l’arresto in Canada della direttrice finanziaria di Huawei Meng Wanzhou, accusata di intrattenere rapporti con l’Iran, sotto embargo da parte di Washington, e in attesa di decisione di estradizione negli Stati Uniti, la vera ragione sarebbe il presunto uso da parte del colosso cinese di infrastrutture strategiche delle telecomunicazioni per spiare aziende, utenti e apparati governativi.
La strategia di Trump, al grido di America first vuole indicare a volontà di mantenere la leadership globale economica, politica e tecnologica a livello globale combattendo l’ideologia del globalismo e abbracciando la dottrina del patriottismo. Primato insediato dalla Cina con il China manufacturing 2025 e la belt road iniziative, una rete di infrastrutture per connettere il Paese con Asia, Europa e Africa.
Le misure protezionistiche vorrebbero far aumentare la produzione e i posti di lavoro riducendo le importazioni mentre i dazi servono a modificare il comportamento del Paese, spingendolo ad abbandonare pratiche commerciali scorrette e arrivare a porre le aziende americane operanti nel Paese su un piano di equa competizione.
A oggi la strategia aggressiva di Trump sembra funzionare. I dati sulla crescita e la produzione sono buoni ma è difficile fare previsioni a lungo termine e la strategia americana potrebbe trovarsi in difficoltà poichè Pechino sta consolidando una propria supply chain su proprie tecnologie e relazioni privilegiate con molti Paesi.
 Nessuno può tornare indietro dalla globalizzazione. L’unica possibilità è sviluppare un nuovo modo di vedere gli scambi globali la cui alternativa è una guerra fredda commerciale con due grandi poli Cina e USA replicando lo schema del conflitto con la Russia che si sposta dal piano ideologico a quello economico creando danni all’economia mondiale, ai mercati finanziari e maggiori rischi di conflitti militari. Se, da un lato, gli USA sono il Paese più tecnologicamente avanzato,  è pur vero che la sua tenuta socio-economica dipende dal voto degli agricoltori e dalle loro esportazioni di prodotti agricoli trascurando il settore manifatturiero che è invece la punta di diamante di Paesi emergenti come la Cina che ha superato il ruolo di produttore a basso costo di prodotti tecnologici e deve mantenere una crescita elevata per mantenere la coesione interna  ma vede l’avanzo commerciale assottigliarsi sempre di più e deve pertanto continuare ad aprire e riformare la sua economia. Si auspica a breve la creazione di accordi commerciali di ampio respiro che permettano il miglioramento delle relazioni dei Paesi e scongiurino gravi rischi per il Pianeta. Finisce così la prima parte di questa storia lunga e travagliata, di due Paesi diversi ma accomunati dalla volontà di essere la prima potenza al mondo. Per conoscere il seguito bisognerà attendere gli eventi che si dipaneranno sul filo della storia. Chi vivrà, vedrà.
11/12/18

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