Prefazione alla quarta edizione ampliata
del Manifesto dell’intersezionismo speculare. (F.
Bernasconi, Manifesto
dell’intersezionismo speculare, Edizioni Nuova Prhomos, settembre 2016)
di
Francesca Saieva
Cercherò di parlare di Intersezionismo speculare in
termini di fenomenologia dell’ascolto, quale
possibile percorso di scrittura musicale.
Secondo Th. Bernhard, “ciò che si descrive rende
manifesto qualcosa, che corrisponde alla volontà
di verità di colui che lo descrive, ma non alla verità, perché la verità
non è assolutamente comunicabile”. Un esercizio del pensiero, dunque, che si fa
testualità esposta alla propria negazione. Quasi che la parola, nel suo essere
auto-affezione, nel farsi musica e sentirsi parlare, perda la propria
identità. Un preciso atto del decostruire all’interno di uno spazio ‘ridotto’,
in termini di distanza io-altro, e ampliato dall’allontanamento
dall’esatto centro geometrico di un pensiero nomade.
Perché, nella reversibilità di un continuo scambio di posto tra lontano e vicino, attraverso entità categoriali differite, ciò che della scrittura si vede non appartiene a se stessa, ma piuttosto sporge al di fuori di essa. Così come può avvenire in una specularità sonoro-linguistica, sfondo di quell’unica restante ‘posta in gioco’, la distanza, chiusa nell’ascolto del “ritmo del soggetto” commisurato alla capacità di abitare l’alterità. “Il suono percepito in forma epifanica nella parola – scrive Y. Bonnefoy – non echeggia nel solo spazio della natura, esso invade un campo in cui l’io si rapporta all’altro”. Ascolto, dunque, che prende dimora presso un linguaggio-discorso simbolico evitando di sperperarne l’eccedenza di significato. Eccedenza del non detto che nell’intertestualità riempie spazi vuoti.
Perché, nella reversibilità di un continuo scambio di posto tra lontano e vicino, attraverso entità categoriali differite, ciò che della scrittura si vede non appartiene a se stessa, ma piuttosto sporge al di fuori di essa. Così come può avvenire in una specularità sonoro-linguistica, sfondo di quell’unica restante ‘posta in gioco’, la distanza, chiusa nell’ascolto del “ritmo del soggetto” commisurato alla capacità di abitare l’alterità. “Il suono percepito in forma epifanica nella parola – scrive Y. Bonnefoy – non echeggia nel solo spazio della natura, esso invade un campo in cui l’io si rapporta all’altro”. Ascolto, dunque, che prende dimora presso un linguaggio-discorso simbolico evitando di sperperarne l’eccedenza di significato. Eccedenza del non detto che nell’intertestualità riempie spazi vuoti.
Cosa può, infatti, significare abitare la distanza, se non reinventare
lo spazio e il tempo alla luce di continue
oscillazioni tra possibilità alternative?
Proprio Derrida, riprendendo il tempo allo stato puro di Proust, scrive
che “la verità del tempo non è temporale. Il senso del tempo, la temporalità pura non è temporale”, quasi, a mio avviso, a chiarire l’esperienza del
tutto in un unico istante, tra
sospensioni e simultaneità, quest’ultima
secondo Bergson, come intersezione del
tempo con lo spazio.
Nel continuo processo di decodificazione di
‘cifre’, il tempo-musica e lo spazio-parola trovano nel farsi dell’ascolto lo Zentrum dell’esercizio del pensiero,
nella sua stessa dislocazione. “Il pensiero – scrive, infatti, Gargani in La frase infinita – è il pensiero che in
un istante si riferisce a tutto. Senza questa attitudine a investire tutte le
dimensioni e direzioni nelle quali esso può piegare e sviluppare infinite
possibili connessioni e le nuove conseguenze, il pensiero non è riconosciuto
come pensiero”.
In tale prospettiva, la logica formale è ormai al
collasso, mentre il sapere si manifesta come contaminazione, dove la fruizione estetica è meticciamento d’idee, suoni e immagini,
che se da un lato muove verso una scepsi
linguistica, dall'altro riconosce la possibilità di una verità comunicata indirettamente mediante
anche una nuova grammatica musicale, quale
atto riflessivo di una sfera non razioide,
che Musil definisce la patria del
poeta, il ‘luogo’ di un’arte combinatoria quale donazione di senso, Sinngebung nel farsi della parola e del suo
essere suono metacomunicativo. Secondo l’adorniana “tecnica del piccolo
passaggio”, dove “ogni sequenza della partitura genera la successiva”,
attraverso efflorescenza di suoni e
proliferazione di note.
Così, se l’atto di scrittura implica una ben
precisa attività compositiva nel e del linguaggio, inesauribili sono le possibilità musicali. “In nessuna arte –
scrive, infatti, Schönberg in Problemi di
armonia – si può dire la medesima
cosa, la medesima cosa che si è già detta prima, e meno che mai in musica.”
Perché soltanto dopo aver ultimato la sua composizione
simbolica, l’artista comprende ciò che voleva
o si aspettava.
Un’osmosi poetico-musicale, dunque, pensata e
inventata da Fiorenzo Bernasconi nel campo dello sperimentalismo, attraverso un
nuovo strumento musicale, il Bercandeon, ispirato alla fisarmonica con due simmetriche
tastiere pianistiche, usato per
interpretare poesie intersezioniste, composte con lettere che indicano le
note della struttura musicale italiana (do, re, mi, fa…) o anglosassone (A B C
D…), e aperto a “un incontro
oscillante – sostiene il nostro – tra analogie e differenze […]difficilmente
realizzabili in realtà più omogenee, o troppo diseguali”.
Così, il Manifesto
dell’intersezionismo speculare, libro di grande ‘alleanza’ tra poesia e
musica, si fa ‘vetrina’ per un nuovo
lessico, a mo’ di neologismi e arcaismi armonici, melodici e ritmati e per
l’ascolto di una realtà transverbale attraverso
un’analisi del suono. Soltanto nell’incontro-intersezione
speculare suoni e parole danzano al ritmo di vagierende Akkorde come “certezze viventi” e frammenti di una lingua più grande.
Sei tornata, alla grande
RispondiEliminagrazie :-)
Eliminaciao!
francesca