sabato 1 ottobre 2016

L'intersezionismo speculare. Un approccio filosofico per una nuova grammatica musicale



Prefazione alla quarta edizione ampliata del Manifesto dell’intersezionismo speculare. (F. Bernasconi, Manifesto dell’intersezionismo speculare, Edizioni Nuova Prhomos, settembre 2016)

di Francesca Saieva


Cercherò di parlare di Intersezionismo speculare  in termini di fenomenologia dell’ascolto, quale possibile percorso di scrittura musicale.
Secondo Th. Bernhard, “ciò che si descrive rende manifesto qualcosa, che corrisponde alla volontà di verità di colui che lo descrive, ma non alla verità, perché la verità non è assolutamente comunicabile”. Un esercizio del pensiero, dunque, che si fa testualità esposta alla propria negazione. Quasi che la parola, nel suo essere auto-affezione, nel farsi musica e sentirsi parlare, perda la propria identità. Un preciso atto del decostruire all’interno di uno spazio ‘ridotto’, in termini di distanza io-altro, e ampliato dall’allontanamento dall’esatto centro geometrico di un pensiero nomade.

 Perché, nella reversibilità di un continuo scambio di posto tra lontano e vicino, attraverso entità categoriali differite, ciò che della scrittura si vede non appartiene a se stessa, ma piuttosto sporge al di fuori di essa. Così come può avvenire in una specularità sonoro-linguistica, sfondo di quell’unica restante ‘posta in gioco’, la distanza, chiusa nell’ascolto del “ritmo del soggetto” commisurato alla capacità di abitare l’alterità.  “Il suono percepito in forma epifanica nella parola – scrive Y. Bonnefoy – non echeggia nel solo spazio della natura, esso invade un campo in cui l’io si rapporta all’altro”. Ascolto, dunque, che prende dimora presso un linguaggio-discorso simbolico evitando di sperperarne l’eccedenza di significato. Eccedenza del non detto che nell’intertestualità riempie spazi vuoti.

Cosa può, infatti, significare abitare la distanza, se non reinventare lo spazio e il tempo alla luce di continue oscillazioni tra possibilità alternative?
Proprio Derrida, riprendendo il tempo allo stato puro di Proust, scrive che “la verità del tempo non è temporale. Il senso del tempo, la temporalità pura non è temporale”, quasi, a mio avviso, a chiarire l’esperienza del tutto in un unico istante, tra sospensioni e simultaneità, quest’ultima secondo Bergson, come intersezione del tempo con lo spazio.
Nel continuo processo di decodificazione di ‘cifre’, il tempo-musica e lo spazio-parola trovano nel farsi dell’ascolto lo Zentrum dell’esercizio del pensiero, nella sua stessa dislocazione. “Il pensiero – scrive, infatti, Gargani in La frase infinita – è il pensiero che in un istante si riferisce a tutto. Senza questa attitudine a investire tutte le dimensioni e direzioni nelle quali esso può piegare e sviluppare infinite possibili connessioni e le nuove conseguenze, il pensiero non è riconosciuto come pensiero”.
In tale prospettiva, la logica formale è ormai al collasso, mentre il sapere si manifesta come contaminazione, dove la fruizione estetica è meticciamento d’idee, suoni e immagini, che se da un lato muove verso una scepsi linguistica, dall'altro riconosce la possibilità di una verità comunicata indirettamente mediante anche una nuova grammatica musicale, quale atto riflessivo di una sfera non razioide, che Musil definisce la patria del poeta, il ‘luogo’ di un’arte combinatoria quale donazione di senso, Sinngebung nel farsi della parola e del suo essere suono metacomunicativo. Secondo l’adorniana “tecnica del piccolo passaggio”, dove “ogni sequenza della partitura genera la successiva”, attraverso efflorescenza di suoni e proliferazione di note.
Così, se l’atto di scrittura implica una ben precisa attività compositiva nel e del linguaggio, inesauribili sono le possibilità musicali. “In nessuna arte – scrive, infatti, Schönberg in Problemi di armonia – si può dire la medesima cosa, la medesima cosa che si è già detta prima, e meno che mai in musica.” Perché soltanto dopo aver ultimato la sua composizione simbolica, l’artista comprende ciò che voleva o si aspettava.

Un’osmosi poetico-musicale, dunque, pensata e inventata da Fiorenzo Bernasconi nel campo dello sperimentalismo, attraverso un nuovo strumento musicale, il Bercandeon, ispirato alla fisarmonica con due simmetriche tastiere pianistiche, usato per interpretare poesie intersezioniste, composte con lettere che indicano le note della struttura musicale italiana (do, re, mi, fa…) o anglosassone (A B C D…), e aperto a “un incontro oscillante – sostiene il nostro – tra analogie e differenze […]difficilmente realizzabili in realtà più omogenee, o troppo diseguali”.
Così, il Manifesto dell’intersezionismo speculare, libro di grande ‘alleanza’ tra poesia e musica, si  fa ‘vetrina’ per un nuovo lessico,  a mo’ di neologismi  e arcaismi armonici, melodici e ritmati e per l’ascolto di una realtà transverbale attraverso un’analisi del suono. Soltanto nell’incontro-intersezione speculare suoni e parole danzano al ritmo di vagierende Akkorde come “certezze viventi” e frammenti di una lingua più grande.

                                                                      

                                                                                  

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