di Daniela Palumbo
Non mi piace.
La luce dell'alba
filtrata dai fori d'un confessionale,
le ceneri bionde sul
capo di ogni penitente
gli osanna cantati a
mezza voce,
le musiche nuove stipate
sugli scaffali.
Non mi piacciono
le corde degli impiccati,
lasciate a marcire sulla spiaggia,
i muri del pianto
intonacati di silenzio,
le piantine innaffiate
castamente,
non mi piacciono i
vicoli ciechi.
Non mi piacciono
gli spartiti su carta
carbone,
le firme autografe sui
documenti falsi,
le monete fresche di
conio né quelle riciclate,
non mi piacciono i
creditori.
Non amo i rebus,
gli indovinelli sul
negro seme sperperato,
le case chiuse, come
incognite,
i carri a cielo aperto,
i telescopi per Stelle
Polari.
Non mi piacciono
i campanelli con il
doppio nome sulla porta,
gli zerbini pungenti, i
labirinti domestici, le ferie settimanali.
Non mi piacciono le rotonde,
coi percorsi obbligati
per auto prudenti,
i divieti di sosta, le
buche nascoste,
non mi piacciono le
brusche frenate.
Non mi piaci tu, ancora
una volta,
così come ho creduto
forse di resuscitarti,
sotto l'ombra dei
cipressi e dentro l'uscio di casa tua,
in cima a un muro
eternamente scalcinato...
E ancora una volta non
mi piaccio io.
Mentre cammino a fari
spenti sulle strade bianche sterrate,
spinta dal vento
dell'Ovest, verso le nebbie del Nord.
Ci sono misteriose analogie con una mia poesia che forse (anzi sicuramente) non conosci.
RispondiEliminaLa poesia ha la forma e la metrica di un testo di De Gregori.
Il che per me è un gran complimento.
Oppure di Lennon, John.
RispondiEliminaGrazie, caro.