Mentre il mondo
guarda con apprensione all’ISIS e al suo operato, un’altra guerra si sta
consumando nel vecchio continente, quella che vede contrapporsi ribelli
filorussi e governo ucraino e che ha già provocato oltre tremila morti.
Proprio a questa organizzazione si è rivolto di recente il Presidente slovacco Kiska, affinché non rinunci a essere coscienza del mondo e dimostri l’autorità necessaria a prevenire e risolvere conflitti e problemi sulla base del diritto internazionale garantendo che il totalitarismo, l’immoralità e l’ingiustizia non prendano il sopravvento.
Alla luce dello sviluppo del conflitto, è chiaro che l’unità nazionale può essere mantenuta solo pagando il prezzo di uno stato di guerra perenne. Da un lato le ragioni dei ribelli si richiamano al principio di autodeterminarsi, cioè di scegliere il proprio assetto politico, dall’altro il governo ucraino agisce per motivazioni più squisitamente pragmatiche essendo le regioni dell’est le più ricche del paese.
A parere di chi scrive il problema principale non è stabilire chi ha ragione o se l’azione dei ribelli sia legittima. Quello che conta davvero è cercare di porre fine alla violenza e agli scontri armati. La guerra distrugge tutto e tutti, nessuno può reputarsi vincitore poiché è stato sconfitto dal desiderio di seguire la via breve della forza piuttosto che quella lunga e difficile della diplomazia.
Sebbene il Paese sia sempre stato
caratterizzato da un ovest filoeuropeo e un est filorusso, l’attuale conflitto
ucraino affonda le proprie radici nel novembre 2013 quando l’allora Presidente
ucraino Yanukovic rifiutò un accordo con l’Unione Europea (UE) per una maggior
integrazione, preferendo un piano russo di finanziamenti da 15 miliardi di
dollari. Seguirono proteste di piazza da parte degli europeisti che accusavano
Yanukovic di essere un fantoccio del Presidente russo Putin e auspicavano
accordi con l’UE sia per rinsaldare i legami culturali e politici con
quest’ultima che per sostenere la debole
economia ucraina. Le manifestazioni vennero represse con la forza e promulgate
leggi volte a limitare la libertà di espressione e riunione.
Quando nel
febbraio di quest’anno le proteste di piazza avevano reso la situazione ormai
intollerabile il presidente ha lasciato il Paese, stabilendosi in Russia dopo
esser stato formalmente sfiduciato dal parlamento che ne aveva in un primo
momento limitato i poteri. Yanukovic
dichiarava invece alla stampa di essere stato deposto illegittimamente.
A marzo il
Cremlino ha invaso e annesso la regione ucraina a maggioranza russa della
Crimea; un mese dopo nelle regioni
orientali del Paese i russofili (circa
10-20 mila unità tra cittadini russi, ucraini di lingua russa, volontari del
Caucaso e cosacchi del Don) hanno preso il controllo di alcuni importanti
edifici pubblici e fondato le Repubbliche di Donetsk e Lugansk, che a maggio
vengono unificate nella Federazione della nuova Russia a seguito di un
referendum sull’indipendenza con un’elevata percentuale di favorevoli. Nello stesso mese si sono tenute le elezioni
presidenziali vinte dall’ europeista Petro Porošenko.
Il governo di
Kiev ha avviato successivamente un’operazione antiterrorismo volta a espellere
i ribelli dal Paese che non ha dato i risultati sperati, a causa della
fornitura di missili terra-aria da parte di Mosca, accusata di fornire aiuti e
armi ai ribelli attraverso presunti camion umanitari. A luglio un aereo della
Malaysia Airlines viene abbattuto secondo le fonti ufficiali dell’attuale
governo ucraino dai ribelli, perchè scambiato per un aereo militare: il
pesantissimo bilancio è di 298 morti. In agosto poi l’artiglieria russa ha
invaso militarmente il Paese nonostante la smentita.
All’azione del
Cremlino è seguita l’applicazione di sanzioni economiche da parte di USA ed
Europa che hanno contribuito a raffreddare i già tesi rapporti con la potenza
sovietica con conseguenze importanti dal punto di vista commerciale: si prevede
un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio in gran parte
esportato in Europa, una riduzione di 2,3 miliardi di dollari del valore dei
prodotti importati dall’Europa. La Nato ha schierato 4 mila uomini sul confine
orientale e rafforzato la propria presenza nei Paesi confinanti mentre la
diplomazia cerca di spingere la Russia fuori dal G8.
Un punto di
svolta si ha il 5 settembre quando dal vertice di Minsk tra Kiev e leader della
Federazione della Nuova Russia, Porošenko ha ordinato il cessate il fuoco. In
risposta l’UE ha dichiarato di sospendere le sanzioni a carico della Russia, se
quest’ultima rispetterà tale ordine.
Unità ucraine
hanno tuttavia lanciato missili verso le postazioni ribelli ribadendo che le
milizie filorusse avrebbero continuato a combattere per l’indipendenza. La
tregua è durata poche ore interrompendosi con esplosioni a Mariupol e nuovi
attacchi intorno all’aeroporto di Donetsk in mano ai separatisti filorussi,
provocando 3 morti e 5 feriti. Porošenko ha dunque firmato un decreto di chiusura
temporanea delle frontiere con la Russia per evitare l’invio di aiuti ai
separatisti, finché non sarà ripristinata l’integrità del territorio ucraino.
Altra data
significativa è il 20 settembre quando le parti hanno concordato la creazione
di una zona-cuscinetto di 30
km tra le frontiere. Il cessate il fuoco pur reggendo
complessivamente, viene costantemente violato.
Una decina di
giorni più tardi, durante una manifestazione a sostegno dell’unità del Paese
organizzata dal partito comunista, che non aveva ricevuto l’autorizzazione da
parte del consiglio cittadino per timore di infiltrati inneggianti al
conflitto, è stata abbattuta a Kharkiv la più grande statua di Lenin del Paese
a cui sono seguiti altri atti simili nei confronti di statue legate alla storia
sovietica, atti questi condannati da Mosca come “azioni barbariche
russofobiche”.
Il 2 ottobre è
morto un operatore svizzero della Croce Rossa e un altro è rimasto ferito
durante il primo bombardamento dal 5 settembre mentre la città di Donetsk,
roccaforte dei ribelli, è stata attaccata dall’esercito ucraino. Il giorno
precedente, un proiettile è caduto nel cortile di una scuola uccidendo 4
persone e un secondo ha colpito un taxi collettivo provocando 6 vittime. Due
giorni più tardi, due bambini sono morti sul colpo e altri cinque sono rimasti
feriti nel tentativo di spostare una granata inesplosa a Zugres, 30 km a est di Donetsk.
In una situazione così incandescente, la
reazione internazionale sembra farsi più decisa: gli USA hanno donato
all’ucraina sistemi di visione notturna, videocamere e droni in aggiunta a
quelli già presenti a sostegno della missione OSCE (Organizzazione per la
Sicurezza e la Cooperazione in uropa)
per il controllo della frontiera russo-ucraina promettendo entro il 2014
50 blindati e migliaia di giubbotti antiproiettile.
Francia e Germania si sono rese disponibili a inviare militari in
supporto alla missione OSCE, previa risoluzione di alcune questioni legali e
politiche. Il presidente bielorusso Lukashenko è pronto a mandare le sue forze
armate per separare le parti.
Slitta al 2016
l’accordo di associazione UE-Ucraina siglato il 27 giugno, che Putin ha chiesto
di rivedere, prospettando misure ritorsive in caso di applicazione e viene
confermato un consiglio di associazione per la realizzazione dell’accordo e la
definizione delle sue linee guida nel mese di novembre, quando si dovrebbero
tenere le elezioni del Consiglio Supremo e del Capo della Repubblica, secondo
l’annuncio del premier della Repubblica di Donetsk Zakharchenko.
L’evento a cui
adesso tutti guardano è il vertice Asem (acronimo di Asia-Europe meeting) del
16 e 17 ottobre in cui dovrebbero incontrarsi Putin e Porošenko. Intanto si combatte e si muore in Ucraina, le
scuole vengo distrutte, i quartieri bombardati, le case rase al suolo, i negozi
chiusi e il gelido inverno sovietico peggiorerà la situazione. Vengono
denunciate violazioni dei diritti umani, non ci sono prodotti alimentari né
medicinali, fatta eccezione per gli aiuti umanitari. Mancano luce e corrente
elettrica, nonostante un accordo per il gas con la Russia sia molto recente.
Gli sfollati sono oltre 295 mila e 341 mila persone hanno lasciato il Paese
secondo il portavoce dell’ONU per gli Affari umanitari Laerke.Proprio a questa organizzazione si è rivolto di recente il Presidente slovacco Kiska, affinché non rinunci a essere coscienza del mondo e dimostri l’autorità necessaria a prevenire e risolvere conflitti e problemi sulla base del diritto internazionale garantendo che il totalitarismo, l’immoralità e l’ingiustizia non prendano il sopravvento.
Alla luce dello sviluppo del conflitto, è chiaro che l’unità nazionale può essere mantenuta solo pagando il prezzo di uno stato di guerra perenne. Da un lato le ragioni dei ribelli si richiamano al principio di autodeterminarsi, cioè di scegliere il proprio assetto politico, dall’altro il governo ucraino agisce per motivazioni più squisitamente pragmatiche essendo le regioni dell’est le più ricche del paese.
A parere di chi scrive il problema principale non è stabilire chi ha ragione o se l’azione dei ribelli sia legittima. Quello che conta davvero è cercare di porre fine alla violenza e agli scontri armati. La guerra distrugge tutto e tutti, nessuno può reputarsi vincitore poiché è stato sconfitto dal desiderio di seguire la via breve della forza piuttosto che quella lunga e difficile della diplomazia.
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