di Gero Gaetani
TITOLO ORIGINALE
SENSITIVE:
THE POWER OF A THOUGHTFUL MIND IN A OVERWHELMING WORLD
By Jenn Granneman and Andre Sólo (2023)
Jenn Granneman e Andre Sólo sono due giornalisti e divulgatori scientifici del Minnesota che collaborano con diverse riviste e quotidiani nazionali, fondatori di IntrovertDear.com, una grande comunità virtuale dedicata alle persone introverse e del sito HighlySensitiveRefuge.com. Questo libro si pone l’obiettivo di illustrare il mondo, le potenzialità e le vulnerabilità di tutti quegli individui che possiedono un particolare tratto della personalità che li connota come HSP (High Sensitivity Person) o, in italiano, PAS (Persone Altamente Sensibili).
I due autori, attraverso un breve
racconto iniziale, si rivelano anch’essi PAS. Leggendo queste prime pagine, si
potrebbe quindi essere indotti a pensare che si tratti di un lavoro dal valore
scarsamente scientifico e frutto di esperienze personali, magari anche ben congegnate
come spesso sanno fare i giornalisti. Invece no, la struttura del libro, le
argomentazioni e l’utilizzo delle fonti sono rigorosi, logicamente ordinati e
convincenti. Certo, non mancano parti costruite più sul desiderio, nutrite di
una fiducia ottimistica nei cambiamenti sociali forse eccessiva, ma sono in
ogni caso nettamente individuabili come riflessioni personali e distinte dal nocciolo
logico dell’oggetto scientifico, chiaramente delineato attraverso l’utilizzo
dei contributi della ricerca psicologica e sociologica. È presente, comunque,
una lucida presa di coscienza dei limiti posti alla “sensibilità” dalle
strutture socio-economiche e dalle sovrastrutture culturali nelle quali siamo
immersi e ne veniamo determinati.
Intanto la definizione di PAS e
il debito nei confronti di Elaine Aron, la prima ricercatrice ad avere
inaugurato il campo di ricerca sulla sensibilità e ad avere affermato che si
tratta di una caratteristica a sé stante, geneticamente determinata, non
prodotta da esperienze traumatiche come sostenuto in passato. In una scala
della sensibilità cui tutti gli esseri umani si pongono, i PAS occupano
l’estremo alto. I tratti caratteristici sono riassumibili nella “capacità di
percepire, elaborare e reagire in maniera intensa all’ambiente circostante”.
Percezione sensoriale aumentata ed elevata capacità di riflettere a fondo su
tali informazioni cogliendo numerose connessioni fra i dati di percezione e il
background culturale proprio: queste le peculiarità che rendono le persone
altamente sensibili molto reattive agli stimoli.
Ma attenzione, la sensibilità è
un tratto, non è patologica e non può essere confusa col disturbo paranoide di
personalità. Quest’ultimo, infatti, consiste in un’attenzione selettiva a
determinati aspetti della realtà che vengono estrapolati dal contesto e resi
totalizzanti sotto l’urgenza di una sfiducia di base nei confronti degli altri,
dando luogo a ipervigilanza e sospettosità. Tutt’altro è la persona sensibile,
la quale è capace di assorbire e accogliere senza alcun pregiudizio tutto ciò
che incontra. Inoltre, ci sarebbero importanti studi che sostengono la
predisposizione genetica a questo tratto della personalità (accompagnata di
frequente da un’organica intolleranza per la caffeina!).
La principale qualità che emerge
correlata alla sensibilità è l’empatia. Pare sia proprio il funzionamento del
sistema sensoriale e cognitivo della persona a favorire lo sviluppo di questa capacità,
in altre parole è l’efficacia nel comprendere stati e situazioni che avvicina
alla comprensione dello stato emotivo dell’altro, fino ad immedesimarvisi.
L’empatia però ha dei limiti, il cervello non riesce a reggere oltre una certa
soglia il carico emotivo del prossimo, rischia il burn out, lo dimostrano le
più recenti ricerche. In quel caso, l’altamente sensibile deve sottrarsi agli
stimoli oppure superare l’empatia nella compassione, cioè la partecipazione
attiva, l’aiuto concreto all’altro.
Infatti, sia che si tratti di
carico empatico, sia che si viva una condizione di iperstimolazione il PAS
rischia di finire stritolato sotto il peso della sua sensibilità e sovente ha
bisogno di momenti di raccoglimento interiore, di silenzio e di pause, che gli
consentano di recuperare il suo equilibrio sia con l’ambiente esterno che nelle
relazioni con gli altri, insomma per lui il mondo è avvertito come “eccessivo”.
Esistono però dei vantaggi, se osserviamo da un altro punto di vista, i PAS
sembrano dotati di “superpoteri”: scorgono numerosi particolari ambientali, odono
piccoli rumori e spesso hanno bisogno di luoghi totalmente esenti da rumorosità
per dormire, avvertono scie di odori come segugi, colgono i minimi segni nel
volto altrui e manifestazioni nascoste di emozioni, tutte cose che ai
normodotati sfuggono; sono inoltre eclettici, capaci di istituire connessioni
fra dati provenienti da svariati campi, proprio perché il loro cervello appare
“cablato” per funzionare in tal modo, sono inoltre molto riflessivi e tornano
spesso ad analizzare anche i loro comportamenti. Abbondano gli esempi nel campo
dell’arte, ma non solo. Emblematica la biografia di Bruce Springsteen: una
storia tutta da leggere.
I nostri autori non perdono l’occasione
per denunciare il complesso di credenze, un vero e proprio stigma, che ha denotato
la figura del “sensibile” nelle nostre società. In particolare, a farne le
spese sono stati i maschi sensibili, ai quali una certa “cultura della durezza”
ha inibito loro l’esercizio sereno della propria sensibilità: “Non prendertela
troppo, ma come sei sensibile…!”, “Non piangere!”, “Sei una femminuccia…” e via dicendo.
Dall’altra parte alle femmine, senza distinzione alcuna, è stato riservato il
pregiudizio opposto: troppo fragili per le sfide della vita. Lungi dall’essere
segno di debolezza, la sensibilità, affermano i nostri, ha invece un potenziale
quasi rivoluzionario e non mancano gli argomenti a favore di questa
convinzione, anche se pare la parte più debole dello scritto.
Infine, segnalo due importanti
sezioni dedicate rispettivamente ai rapporti di coppia nei quali è coinvolto il
PAS e alla specificità dell’educazione di un figlio altamente sensibile. Lascio
alla curiosità del lettore scoprirne i contenuti.
In conclusione, il principale merito
di Granneman e Sólo risiede nell’aver contribuito a dare legittimità alla
sensibilità, nell’averla strappata allo stigma culturale che la associava alla
debolezza e nell’averne valorizzato le qualità correlate, attraverso una serie
coerente di dati, frutto di ricerche, e sostenuti da argomentazioni efficaci.
È un libro da leggere, che fa
riflettere, molto più di quanto possa invitare a fare quest’umile recensione. Non
nascondo però il timore dello scarso impatto che simili pubblicazioni hanno, generalmente,
sul grande pubblico in Italia. Forse perché legati alla tradizione
umanistico-letteraria, esprimiamo non di rado diffidenza per le scienze umane,
l’analisi e specialmente l’autoanalisi, e preferiamo affidarci quasi
esclusivamente alla “letteratura” (quella incline alla narrazione etica o
passionale) per interpretare comportamenti, sentimenti ed emozioni. Per cui
questo libro, non concepito certo per gli addetti ai lavori (studiosi di psicologia
e sociologia) rimane in un certo senso quasi orfano.
Quasi, in verità, ci sono due
categorie di lettori ai quali interesserà: in primis, quelli che si riconoscono
in un soggetto PAS, in secundis quelli che sono legati in qualche modo ad un
PAS.
Buona lettura!
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