giovedì 7 agosto 2025

Recensione di "Sensibile: la forza dell'empatia in un mondo indifferente", di Jenn Granneman e Andre Sólo

 

di Gero Gaetani


TITOLO ORIGINALE

SENSITIVE: THE POWER OF A THOUGHTFUL MIND IN A OVERWHELMING WORLD

By Jenn Granneman and Andre Sólo (2023)

 

Jenn Granneman e Andre Sólo sono due giornalisti e divulgatori scientifici del Minnesota che collaborano con diverse riviste e quotidiani nazionali, fondatori di IntrovertDear.com, una grande comunità virtuale dedicata alle persone introverse e del sito HighlySensitiveRefuge.com. Questo libro si pone l’obiettivo di illustrare il mondo, le potenzialità e le vulnerabilità di tutti quegli individui che possiedono un particolare tratto della personalità che li connota come HSP (High Sensitivity Person) o, in italiano, PAS (Persone Altamente Sensibili).

I due autori, attraverso un breve racconto iniziale, si rivelano anch’essi PAS. Leggendo queste prime pagine, si potrebbe quindi essere indotti a pensare che si tratti di un lavoro dal valore scarsamente scientifico e frutto di esperienze personali, magari anche ben congegnate come spesso sanno fare i giornalisti. Invece no, la struttura del libro, le argomentazioni e l’utilizzo delle fonti sono rigorosi, logicamente ordinati e convincenti. Certo, non mancano parti costruite più sul desiderio, nutrite di una fiducia ottimistica nei cambiamenti sociali forse eccessiva, ma sono in ogni caso nettamente individuabili come riflessioni personali e distinte dal nocciolo logico dell’oggetto scientifico, chiaramente delineato attraverso l’utilizzo dei contributi della ricerca psicologica e sociologica. È presente, comunque, una lucida presa di coscienza dei limiti posti alla “sensibilità” dalle strutture socio-economiche e dalle sovrastrutture culturali nelle quali siamo immersi e ne veniamo determinati.

Intanto la definizione di PAS e il debito nei confronti di Elaine Aron, la prima ricercatrice ad avere inaugurato il campo di ricerca sulla sensibilità e ad avere affermato che si tratta di una caratteristica a sé stante, geneticamente determinata, non prodotta da esperienze traumatiche come sostenuto in passato. In una scala della sensibilità cui tutti gli esseri umani si pongono, i PAS occupano l’estremo alto. I tratti caratteristici sono riassumibili nella “capacità di percepire, elaborare e reagire in maniera intensa all’ambiente circostante”. Percezione sensoriale aumentata ed elevata capacità di riflettere a fondo su tali informazioni cogliendo numerose connessioni fra i dati di percezione e il background culturale proprio: queste le peculiarità che rendono le persone altamente sensibili molto reattive agli stimoli.

Ma attenzione, la sensibilità è un tratto, non è patologica e non può essere confusa col disturbo paranoide di personalità. Quest’ultimo, infatti, consiste in un’attenzione selettiva a determinati aspetti della realtà che vengono estrapolati dal contesto e resi totalizzanti sotto l’urgenza di una sfiducia di base nei confronti degli altri, dando luogo a ipervigilanza e sospettosità. Tutt’altro è la persona sensibile, la quale è capace di assorbire e accogliere senza alcun pregiudizio tutto ciò che incontra. Inoltre, ci sarebbero importanti studi che sostengono la predisposizione genetica a questo tratto della personalità (accompagnata di frequente da un’organica intolleranza per la caffeina!).

La principale qualità che emerge correlata alla sensibilità è l’empatia. Pare sia proprio il funzionamento del sistema sensoriale e cognitivo della persona a favorire lo sviluppo di questa capacità, in altre parole è l’efficacia nel comprendere stati e situazioni che avvicina alla comprensione dello stato emotivo dell’altro, fino ad immedesimarvisi. L’empatia però ha dei limiti, il cervello non riesce a reggere oltre una certa soglia il carico emotivo del prossimo, rischia il burn out, lo dimostrano le più recenti ricerche. In quel caso, l’altamente sensibile deve sottrarsi agli stimoli oppure superare l’empatia nella compassione, cioè la partecipazione attiva, l’aiuto concreto all’altro.

Infatti, sia che si tratti di carico empatico, sia che si viva una condizione di iperstimolazione il PAS rischia di finire stritolato sotto il peso della sua sensibilità e sovente ha bisogno di momenti di raccoglimento interiore, di silenzio e di pause, che gli consentano di recuperare il suo equilibrio sia con l’ambiente esterno che nelle relazioni con gli altri, insomma per lui il mondo è avvertito come “eccessivo”. Esistono però dei vantaggi, se osserviamo da un altro punto di vista, i PAS sembrano dotati di “superpoteri”: scorgono numerosi particolari ambientali, odono piccoli rumori e spesso hanno bisogno di luoghi totalmente esenti da rumorosità per dormire, avvertono scie di odori come segugi, colgono i minimi segni nel volto altrui e manifestazioni nascoste di emozioni, tutte cose che ai normodotati sfuggono; sono inoltre eclettici, capaci di istituire connessioni fra dati provenienti da svariati campi, proprio perché il loro cervello appare “cablato” per funzionare in tal modo, sono inoltre molto riflessivi e tornano spesso ad analizzare anche i loro comportamenti. Abbondano gli esempi nel campo dell’arte, ma non solo. Emblematica la biografia di Bruce Springsteen: una storia tutta da leggere.

I nostri autori non perdono l’occasione per denunciare il complesso di credenze, un vero e proprio stigma, che ha denotato la figura del “sensibile” nelle nostre società. In particolare, a farne le spese sono stati i maschi sensibili, ai quali una certa “cultura della durezza” ha inibito loro l’esercizio sereno della propria sensibilità: “Non prendertela troppo, ma come sei sensibile…!”, “Non piangere!”,  “Sei una femminuccia…” e via dicendo. Dall’altra parte alle femmine, senza distinzione alcuna, è stato riservato il pregiudizio opposto: troppo fragili per le sfide della vita. Lungi dall’essere segno di debolezza, la sensibilità, affermano i nostri, ha invece un potenziale quasi rivoluzionario e non mancano gli argomenti a favore di questa convinzione, anche se pare la parte più debole dello scritto.

Infine, segnalo due importanti sezioni dedicate rispettivamente ai rapporti di coppia nei quali è coinvolto il PAS e alla specificità dell’educazione di un figlio altamente sensibile. Lascio alla curiosità del lettore scoprirne i contenuti.

In conclusione, il principale merito di Granneman e Sólo risiede nell’aver contribuito a dare legittimità alla sensibilità, nell’averla strappata allo stigma culturale che la associava alla debolezza e nell’averne valorizzato le qualità correlate, attraverso una serie coerente di dati, frutto di ricerche, e sostenuti da argomentazioni efficaci.

È un libro da leggere, che fa riflettere, molto più di quanto possa invitare a fare quest’umile recensione. Non nascondo però il timore dello scarso impatto che simili pubblicazioni hanno, generalmente, sul grande pubblico in Italia. Forse perché legati alla tradizione umanistico-letteraria, esprimiamo non di rado diffidenza per le scienze umane, l’analisi e specialmente l’autoanalisi, e preferiamo affidarci quasi esclusivamente alla “letteratura” (quella incline alla narrazione etica o passionale) per interpretare comportamenti, sentimenti ed emozioni. Per cui questo libro, non concepito certo per gli addetti ai lavori (studiosi di psicologia e sociologia) rimane in un certo senso quasi orfano.

Quasi, in verità, ci sono due categorie di lettori ai quali interesserà: in primis, quelli che si riconoscono in un soggetto PAS, in secundis quelli che sono legati in qualche modo ad un PAS.

Buona lettura!


Nessun commento:

Posta un commento

Questo blog consente a chiunque di lasciare commenti. Si invitano però gli autori a lasciare commenti firmati.
Grazie