mercoledì 13 febbraio 2019

Italia-Francia: cronaca di una crisi annunciata

di Valentina Sechi

Cade il gelo nelle relazioni tra Italia e Francia. Oltre ai fatti contingenti di questi giorni però, si cela un disegno molto più complesso che rivela un progetto creato a tavolino strumentale alle prossime elezioni europee.  E’ infatti il tempismo con cui si sono disgregati i rapporti con un partner economico a cui il nostro Paese è profondamente legato. La Francia è il nemico perfetto dell’Italia per svariate ragioni. Prima di proseguire però con la lettura politica degli avvenimenti che nei mesi scorsi si sono consumati, è bene ricordare cosa lega le due nazioni e ricordare le tappe di una crisi i cui molteplici segnali restituiscono un quadro generale che non poteva che portare alla situazione in cui ci troviamo oggi.



Innanzitutto entrambi i Paesi provengono dal medesimo ceppo linguistico, hanno sistemi giudiziari di civil law e sono tra i sei fondatori della CEE (oggi UE).
Le prime tensioni risalgono al giugno scorso quando il Presidente francese Macron definì “vomitevole” la decisione dell’Italia di chiudere i porti alla nave Acquarius rimasta diversi giorni bloccata, mentre i governi europei si rimpallavano le responsabilità in merito all’accoglienza dei 629 migranti a bordo. La risposta dell’Italia non si fece attendere con l’asserzione di non accettare “lezioni ipocrite da paesi che in tema di immigrazione hanno sempre preferito voltare la testa dall’altra parte”. Lo scontro, per il momento, si concluse il 15 giugno in occasione della visita del Premier Italiano Conte a Parigi quando Macron affermò di non aver voluto offendere nessuno.
La miccia si riaccende a fine agosto a margine dell’incontro con il Premier ungherese Orban quando Salvini sostiene che la Francia dovrebbe spalancare le proprie frontiere e non avrebbe dovuto destabilizzare la Libia per meri motivi economici. Lo scontro prosegue a suon di tweet e vive un momento di fuoco in ottobre quando i gendarmi francesi sconfinano in Val di Susa e abbandonano alcuni immigrati presso Claviere.  Infuriano le polemiche: l’Eliseo si giustifica sostenendo che si è trattato di un errore e che la questione è strumentalizzata dalle autorità politiche italiane, di contro il Ministro Salvini non accetta le scuse; non era la prima volta che i doganieri francesi venivano accusati, già a marzo, a Bardonecchia presso i locali di una stazione assegnati alla ONG Rainbow4Africa, si erano introdotti armati per effettuare il test delle urine a un immigrato irregolare. Segue un’inchiesta per concorso in violazione di domicilio e violenza privata, abuso di atti di ufficio le cui giustificazioni, che si appellerebbero ad accordi tra i due paesi, appaiono poco convincenti.
Questione migranti in primo piano dunque anche per i controlli alla frontiera di Ventimiglia. Sarebbero stati violati i diritti umani come denunciato da associazioni e ONG che si occupano di migranti sul territorio, migranti che spesso sarebbero anche stati riportati in Italia che, come le regioni dell’Europa meridionale, si trova in difficoltà a gestire un flusso di arrivi così importante senza avere le strutture idonee.
L’atteggiamento della Francia, come quello di altri Paesi, appare inaccettabile alla luce dei continui arrivi di navi battenti bandiera estera che arrivano nei porti italiani poiché la responsabilità di farsi carico degli ingenti costi di mantenimento e delle operazioni di rimpatrio non può e non deve gravare solo sui Paesi d’arrivo ma dovrebbero essere condivisa. Accusarci e poi continuare a non fare nulla non può essere la scelta dell’Europa che pertanto si dimostra poi contraria alla politica dei porti chiusi inaugurata da  Salvini, l’Italia non può essere il porto dove tutti arrivano e poi restano, anche alla luce dei respingimenti e del fatto che ogni giorno la Francia rimanda indietro decine di migranti che cercano nel nostro Paese solo un punto di passaggio verso Nazioni come la la Francia, appunto, la Germania dove hanno amici o parenti. E’ troppo comodo continuare a chiederci di accogliere e non fare nulla.
Un altro punto nevralgico è rappresentato dai gilet gialli, (movimento politico francese quasi eversivo composto coloro che si considerano invisibili e ha calamitato estremisti di destra e sinistra e soggetti antistatuali) a cui il movimento Cinque Stelle ha offerto sostegno, criticando le scelte politiche di Macron. Inoltre, a febbraio il vicepremier Di Maio e Di Battista si sono recati a Parigi per incontrare Chalencon, un rappresentante del movimento dei gilet gialli. Visita non gradita da Parigi che la considera “una nuova provocazione inaccettabile, che indebolisce i rapporti bilaterali”, mentre Di Maio rivendica il diritto di dialogo con le forze politiche del Paese e che il rapporto con la Francia non è in discussione.
È di pochi giorni fa, la conseguente decisione di richiamare a Parigi l’ambasciatore francese in Italia Masset per delle consultazioni a seguito di “attacchi senza precedenti e senza fondamento” che fanno dubitare delle intenzioni del governo italiano verso la Francia. Una decisione altamente significativa della gravità dello strappo tra i due Paesi, evento che non si verificava dal 1940 quando l’Italia dichiarò guerra alla Francia. Tali parole appaiono eccessive se s’insinua il dubbio sugli intenti del Paese, non è stata mossa una dichiarazione di guerra né si palesa la volontà di interrompere o modificare i rapporti con il Paese, la questione dunque si presenta come una bolla di sapone, inconsistente e priva di reale fondamento e destinata a dissolversi.
Appena un mese fa, l’ambasciatrice italiana a Parigi Castaldo era stata convocata dal governo francese dopo che Di Maio aveva dichiarato che l’UE avrebbe dovuto sanzionare Nazioni come la Francia in quanto responsabili dell’impoverimento dell’Africa. Il riferimento è al Franco FCA, una moneta stampata a Parigi, garantita dal tesoro francese e utilizzata in 14 Stati africani il cui scopo è anche ripagare il debito pubblico francese; per i sostenitori strumento a contenimento dell’inflazione, per i detrattori lascito dell’imperialismo che permette de facto il controllo sulle ex colonie, indebolendone le economie rallentando crescita e lavoro. A chiusa della questione, ci sono le parole di incoraggiamento di Conte secondo cui è necessario lavorare con la Francia e le istituzioni europee per trovare una soluzione condivisa.
E adesso? La reazione dei due alleati di Governo è stata differente: Salvini si dice interessato solo a difendere gli interessi del nostro Paese e non a litigare, suggerendo un incontro con Macron attorno a tre temi principali: fine del respingimento degli immigrati verso l’Italia, termine ai lunghi controlli ai confini, estradizione per militanti rifugiati politici che si sono macchiati di reati gravi; i pentastellati considerano la scelta francese una provocazione. Riflettendo su tali reazioni appare chiaro che le parole del leader leghista appaiono appropriate per un politico alla ricerca di maggiori consensi ma non per un ministro che dovrebbe avere a cuore, in primo luogo l’interesse nazionale che in questo caso appunto è il riavvicinamento. La posizione che avrebbe dovuto tenere non è chiamarsi fuori dalla questione ma esprimersi in favore del Paese scusandosi se eventuali dichiarazioni rese dai nostri politici erano state oltraggiose. Da biasimare anche la scelta dell’alleato di governo, il ritiro di un ambasciatore non è solo provocazione, ma un segnale inequivocabile che i rapporti tra i due Paesi si stanno incrinando in modo grave. I tentativi di ricucire i rapporti da parte italiana non hanno sortito gli effetti sperati sebbene le rassicurazioni circa la temporaneità del richiamo dell’ambasciatore lascino ben sperare. Tuttavia a seguito della volontà espressa da Salvini di convocare il ministro degli Interni francese Castaner, quest’ultimo ha risposto che non si fa convocare da Salvini. L’interlocutore principale agli occhi dei Francesi è Conte, con lui Macron si è incontrato diverse volte.
Un appello per l’intervento di Conte è arrivato anche dal Presidente di Confindustria Boccia, data la rilevanza della questione per la nostra economia. Una prima conseguenza è l’allontanamento di Air France-Klm dalla partita sul salvataggio di Alitalia. In questi anni l’Italia ha attratto capitali francesi che hanno investito sulle banche e sul nostro debito pubblico. E la Francia è anche il nostro secondo partner economico dopo la Germania.
La crisi politica con la Francia assume una valenza maggiore se si guarda al breve periodo che ci separa dalle elezioni europee del 26 maggio prossimo. Le due forze populiste che ci governano tentano il tutto per tutto alla ricerca di una fetta più consistente di elettorato come dimostra il supporto ai gilet gialli, più in funzione anti-Macron che per affinità, e anche la critica al Fondo Monetario Internazionale si inserisce in questo filone perché la presidente del FMI è la francese Christine Lagarde.
Tale crisi è perfetta per mettere in secondo piano le preoccupazioni economiche legate alla recessione e Macron è un nemico perfetto perché compatta le due anime del Governo: è un uomo delle banche e rappresenta quell’Europa usurpatrice contrapposta alla logica sovranista propugnata da Lega e M5S. Un’arma per distogliere l’attenzione dai reali problemi del Paese facendo leva sul campanilismo e rivalità con i cugini d’Oltralpe, perché i francesi hanno sempre trattato l’Italia con sufficienza, considerandola acquiescente, pur apprezzandone il genio e l’estro creativo. Ma anche l’Italia ha sbagliato a usare il sentimento francese in chiave vittimista.
Macron, dal canto suo, avverte il pericolo di recrudescenza del populismo in Paesi vicini in cui si pensava non fosse possibile, il riferimento all’Italia è chiaro pur non essendo diretto. Egli inoltre si trova ad affrontare problemi come il rischio di perdere potere e prestigio, l’impatto della globalizzazione e la perdita di identità nazionale in paese che sperimenta una società frammentata e in lotta. Politicamente Macron si definisce un contrappeso alle forze populiste che cercano di minare il progetto europeo e l’alleanza franco-germanica.
L’ultimo tassello ci porta lontano dal teatro Europeo, più a Sud, in terra libica dove il generale Haftar, appoggiato dalla Francia, ha lanciato un’offensiva nella regione del Fezzan rischiando di accerchiare il governo di Al Sarraj, appoggiato dall’Italia, con l’obiettivo di ripulire l’area dai terroristi, assicurare gli impianti petroliferi e interrompere il flusso migratorio dal sub Sahara, allargando la sua area d’influenza dove l’Italia ha importanti interessi petroliferi.
Italia e Francia hanno lottato per costruire l’Europa e portare pace, l’amicizia tra i due Paesi è fondamentale per raccogliere le sfide lanciate dal delicato periodo storico in cui viviamo, è necessario agire in fretta per “ritrovare la relazione di amicizia e rispetto reciproco all’altezza della nostra storia e del nostro destino comune”. Si spera allora in una rapida soluzione ad una crisi che non può e non deve intaccare l’immagine di un’Europa unita e solidale al suo interno prima che al di fuori, che agisca compatta e possa essere un attore decisivo in un mondo sull’orlo del baratro che rischia di piombare in un’epoca di conflitti senza fine. Entrambe le parti hanno commesso degli errori, è sufficiente chiarirsi, scusarsi e andare avanti. E’ il mondo che ce lo chiede.


Valentina Sechi                                                                            10/02/2019                           


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